Proprio per l'attualità di tale argomento, visti i risvolti non solo personali sui pazienti, ma anche sociali che la Fatigue può determinare, occorre fare i conti con questa presenza sin dalle prime fasi di malattia e con la sua massima evoluzione in corso di trattamento, ma soprattutto la persistenza di essa nel tempo, correlata ad ansia e depressione che ne rappresentano anche i fattori predittivi.
All'efficacia delle terapie adiuvanti che garantiscono una maggior sopravvivenza ed una cronicizzazione delle patologie si affianca una serie di effetti avversi che deteriorano la qualità della vita e sono causati dai trattamenti. La stanchezza è una di queste condizioni e genera un senso soggettivo di debolezza, mancanza di energia, indebolimento non solo motorio ma anche psicologico.
Si sa ancora poco circa la fatica correlata al cancro (CRF) durante la malattia, i fattori di rischio che potrebbero favorirne lo sviluppo e la persistenza nei pazienti lungo-sopravviventi del cancro della mammella.
Lo studio prospettico a firma di Alessandra Fabi e Patrizia Pugliese, tra i principali autori e rispettivamente oncologa e psicologa dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena ha rilevato l'incidenza, il tempo di insorgenza, la durata della fatigue e l'impatto sulla qualità della vita e sui disturbi di tipo psicologico.
Sono state seguite 78 pazienti con diagnosi precoce di cancro alla mammella, sottoposte a chemioterapia seguite o meno da trattamento antiormonale sulla base o meno della ormono-responsività del tumore; durante il percorso terapeutico e nel corso dei 10 anni di follow up lo studio ha previsto la compilazione di questionari specifici sulla qualità della vita e sindromi psicologiche (ansia e depressione), quali questionari EORTC QLQC30, FACTB, HADs, indagini quindi sia di tipo quantitativo che qualitativo.
I dati emersi rilevano una bassa incidenza di fatigue, solo il 9%, dopo l'intervento chirurgico, ma che aumenta al 49% durante la chemioterapia e persiste nel 47% delle pazienti alla fine della chemioterapia. Si mantiene allo stesso livello nel 31 % dei casi dopo un anno dal termine dei trattamenti e tende a ridursi fino a dieci anni di follow-up, senza comunque mai scomparire.
Alla fine del trattamento la persistenza di fatica correlata al cancro è stata associata all'ansia nel 20% delle pazienti in particolare nell'11% dopo 1 e nel 5% dopo 2 anni dalla chemioterapia, mentre l’associazione con la depressione si rilevava rispettivamente nel 15%, nel 10% e nel 5%.
Ciò che è stato rilevato dallo studio è che le pazienti che presentano depressione e ansia prima della chemioterapia sono quelle più a rischio di sviluppare fatigue nel periodo successivo.
“Il nostro studio – sottolinea la drssa Fabi – delinea un importante concetto, la rilevazione precoce e a distanza di un fenomeno quale quello della fatigue, sentito e comunicato da molte donne in corso e dopo le terapie adiuvanti cui sono sottoposte e che aggrava non solo la loro fisicità (stanchezza, senso di affaticamento complessivo), ma influenza anche la loro vita sociale e familiare. Per la prima volta tale “sindrome” viene studiata nel tempo e rileva la permanenza della fatigue negli anni successivi al trattamento e trova nell’ansia e nella depressione d’esordio alla malattia i fattori predittivi della sua insorgenza
“ Ansia e depressione- specifica la Pugliese, rappresentano gli indicatori più significativi della risposta emozionale al cancro durante tutte le fasi della malattia oncologica e sono stati rilevati dagli studi come i fattori più fortemente correlati alla fatigue da cancro. Rimane ancora da delucidare la natura e la direzione di tale relazione. Nel nostro studio le pazienti con punteggi più elevati di fatigue riportano anche punteggi di ansia e depressione borderline e patologici nelle diverse fasi dell’iter terapeutico.
Tra i fattori clinici, psicologici e demografici analizzati nello studio quali predittori di fatigue nel tempo solo la presenza di ansia e depressione reattiva o patologica è stato confermato: le donne che presentano tali sintomi prima del trattamento chemioterapico sono a rischio di insorgenza di fatigue nel periodo successivo.
"Questo studio dimostra quanto sia importante che al miglior trattamento oncologico – sottolinea Francesco Cognetti, direttore di Oncologia Medica 1 dell’IRE - si accompagni la cura della persona in tutti i suoi molteplici aspetti e per tutte le conseguenze che una malattia neoplastica comporta. In particolare questo nostro studio dimostra che la fatigue, condizione estremamente invalidante e generata da possibili molteplici cause nelle pazienti affette da neoplasia mammaria operata, può essere anche prevenuta o trattata con interventi mirati e precoci di natura psicoterapica."
C’è necessità di uno studio con un campione più numeroso per confermare la natura e la direzione della relazione tra fatigue e stato mentale al fine di assicurare al gruppo di pazienti a rischio interventi precoci di miglioramento della fatigue e del distress psicologico.
Fonte: Ufficio Stampa Istituto Nazionale dei Tumori Regina Elena, Roma