In questo scenario la Ricerca italiana svolge un ruolo rilevante: ne è ulteriore prova lo studio presentato al congresso dell’ASCO - American Association of Medical Oncology, in corso in questi giorni a Chicago, che coinvolge più di 20 Centri italiani, relativo all’impatto che un trattamento di seconda linea può avere in pazienti con malattia metastatica che abbiano ricevuto una terapia di prima linea con lo schema che oggi può essere considerato il trattamento standard, cioè la combinazione di nab-paclitaxel e gemcitabina.
Intervista al Prof. Ferdinando De Vita Professore di Oncologia Medica Seconda Università degli Studi di Napoli
Qual è il ruolo dell’Italia nella ricerca clinica legata al trattamento del tumore del pancreas?
Il carcinoma del pancreas rappresenta uno dei principali big killer oncologici per la prognosi particolarmente sfavorevole: questo giustifica lo sforzo che la ricerca internazionale sta producendo per migliorare le conoscenze sui meccanismi di insorgenza e progressione della neoplasia con l’obiettivo di ottenere cure più efficaci. In questo scenario la ricerca italiana svolge un ruolo rilevante che si estrinseca sia in ambito preclinico, attraverso gli studi tesi alla caratterizzazione biomolecolare di questa neoplasia, sia in ambito clinico, attraverso la progettazione, la partecipazione o il coordinamento di studi finalizzati a valutare il ruolo di nuovi farmaci e nuove strategie terapeutiche nel trattamento del carcinoma pancreatico.
Ci può fare un esempio?
Un esempio paradigmatico di ciò è rappresentato dall’abstract presentato all’ASCO 2016 relativo all’impatto che un trattamento di seconda linea può avere in pazienti con malattia metastatica che abbiano ricevuto una terapia di prima linea con lo schema che oggi può essere considerato il trattamento standard, cioè la combinazione di nab-paclitaxel e gemcitabina. In realtà il progetto, che vede la collaborazione di oltre venti Centri oncologici italiani, nasce da più lontano con l’obiettivo di confermare i dati di efficacia e tollerabilità del nab-paclitaxel e gemcitabina in una popolazione diversa da quella degli studi clinici, quale quella rappresentata dai pazienti trattati quotidianamente nei nostri reparti. In altre parole questa collaborazione multicentrica si è proposta di verificare, in un ambito di real life, i risultati dello studio internazionale MPACT, che ad oggi rappresenta il più ampio sforzo condotto dalla comunità scientifica internazionale sul tumore metastatico del pancreas. Questa collaborazione ha permesso innanzitutto di analizzare i database di diverse centinaia di pazienti trattati in Italia con la combinazione di nab-paclitaxel e gemcitabina, permettendo di confermarne l’efficacia e la tollerabilità che già emergevano dallo studio MPACT, anche nella nostra pratica clinica; inoltre essa ha permesso di produrre una serie di dati scientifici oggetto di presentazioni ad importanti congressi internazionali.
Può riassumere i numeri e lo schema dello studio italiano?
Lo studio italiano presentato quest’anno all’ASCO ha analizzato la prognosi di oltre 220 pazienti trattati con nab-paclitaxel e gemcitabina che, al momento della progressione, hanno ricevuto una seconda linea di chemioterapia o esclusivamente una terapia di supporto. Oltre la metà di tutti i pazienti (55%) ha potuto ricevere una seconda linea: indipendentemente dal tipo di chemioterapia, la prosecuzione del trattamento antiblastico, ha determinato un miglioramento statisticamente significativo della sopravvivenza mediana che si è attestata sui 13.5 mesi rispetto ai 6.5 mesi dei pazienti che non hanno ricevuto la seconda linea chemioterapica.
Questo studio di real life conferma il ruolo di nab-paclitaxel+gemcitabina come standard of care nel trattamento di prima linea del tumore metastatico del pancreas. In particolare sottolinea come i pazienti trattati in prima linea con questa combinazione possano ricevere altre linee terapeutiche, aumentando così la loro sopravvivenza. Qual è il suo punto di vista sulla nuova possibilità di strategia terapeutica, fino a qualche anno fa difficilmente attuabile nel trattamento di questo tumore?
Lo scenario terapeutico del carcinoma pancreatico in fase metastatica comincia, sia pure a piccoli passi, finalmente a cambiare attraverso la disponibilità di trattamenti efficaci che hanno consentito il superamento della gemcitabina che per anni ha rappresentato l’unica opzione di trattamento per questi pazienti con risultati estremamente modesti. Pertanto, se fino a pochi anni fa ci si chiedeva addirittura se questi pazienti dovessero ricevere un trattamento chemioterapico, adesso si comincia a disegnare un percorso terapeutico in cui è possibile pensare a linee di trattamento successive alla prima. Tuttavia per realizzare questa sequenza terapeutica abbiamo bisogno di disporre di una chemioterapia di prima linea che sia efficace, ma al tempo stesso caratterizzata da tossicità accettabile, dalla capacità di consentire una buona qualità di vita e, soprattutto, di ritardare il deterioramento del Performance Status del paziente.
Il messaggio che deriva dall’esperienza italiana presentata all’ASCO va proprio in questa direzione: una terapia chiaramente efficace e con scarsa tossicità come la combinazione di nab-paclitaxel e gemcitabina, non soltanto garantisce un trattamento attivo in prima linea, ma consente, ad un’ampia fetta di pazienti, di ricevere un successivo trattamento di seconda linea al momento della progressione con un significativo impatto sulla sopravvivenza globale. In particolare i dati derivanti dall’esperienza di real life che abbiamo condotto in Italia, rafforzano i risultati osservati nello studio MPACT poiché nella nostra analisi una percentuale maggiore di pazienti (55%) rispetto al trial registrativo ha effettuato un trattamento di seconda linea. Questi dati rappresentano un’indicazione importante per la comunità oncologica, dimostrando come, anche per i pazienti con tumore metastatico del pancreas, si possa cominciare a parlare di continuum of care. Complessivamente queste evidenze implicano che il percorso terapeutico di un paziente con malattia metastatica sia condizionato dalle scelte terapeutiche stabilite inizialmente al momento della prima linea e, di contro, che la scelta di un trattamento di prima linea sub-ottimale per efficacia e/o tossicità possa avere delle ricadute negative sull’intero percorso terapeutico.
Alla luce del fatto che la combinazione nab-paclitaxel+gemcitabina sta diventando uno standard of care nel trattamento del tumore del pancreas (l’elevato numero di abstract presentati al Congresso testimoniano questo aspetto), quali saranno secondo Lei i futuri sviluppi, più in generale del trattamento di questa patologia, ed in particolare di questa innovativa combinazione?
Possiamo assolutamente convenire sul fatto che la combinazione di nab-paclitaxel e gemcitabina debba essere considerata uno standard of care nel trattamento del tumore del pancreas in fase metastatica. I risultati dello studio MPACT hanno chiaramente dimostrato la significativa superiorità della combinazione rispetto alla gemcitabina da sola in termini di sopravvivenza globale, sopravvivenza libera da progressione e tasso di risposte obiettivi. E, come sottolineato in precedenza, l’ampia esperienza di real life condotta nel nostro Paese ha confermato ulteriormente i risultati dello studio registrativo, supportandone la trasferibilità nella pratica clinica. Naturalmente l’efficacia e il buon profilo di tollerabilità della combinazione fanno sì che essa possa candidarsi ad essere il partner di potenziali associazioni con farmaci biologici e diversi studi sono attualmente in corso in questo ambito. Tuttavia dati di efficacia così rilevanti, suggeriscono l’impiego dell’associazione anche in altre situazioni di malattia come nella malattia localmente avanzata quando sia richiesto un downsizing della neoplasia ai fini dell’operabilità o nei pazienti sottoposti a trattamento chirurgico per i quali è previsto un trattamento chemioterapico adiuvante. In particolare si è da pochi mesi chiuso il reclutamento dello studio APACT, studio internazionale di fase III che sta confrontando il trattamento adiuvante standard rappresentato anche in questo caso dalla gemcitabina con un trattamento sperimentale rappresentato proprio dalla combinazione di nab-paclitaxel e gemcitabina. Lo studio ha arruolato 800 pazienti ed anche in questo caso è stato rilevante il contributo dell’Italia, che è stata una delle nazioni ad arruolare il maggior numero di pazienti.
Fonte: Ufficio Stampa Pro Format