Lo studio, finanziato da AIRC, dimostra che una particolare mutazione di FANCM (denominata c.5791C>T) causa la sintesi di una proteina non funzionale. Inoltre, i dati di frequenza, ottenuti confrontando più di 8.600 donne affette da carcinoma mammario e 6.600 donne sane (provenienti da Italia, Francia, Spagna, Germania, Australia, Stati Uniti, Svezia e Paesi Bassi) suggeriscono che le donne portatrici della mutazione presentano un rischio di sviluppare il carcinoma mammario superiore a quello della popolazione generale. L’esempio più eclatante finora confermato è quello dei geni BRCA1 e BRCA2 (dall’inglese BReast CAncer) che, se alterati da mutazioni deleterie, determinano una probabilità di sviluppare un carcinoma mammario nel corso della vita di circa il 60-80%. Le mutazioni di questi geni sono relativamente frequenti e vengono identificate nel 10-20% di tutte le donne affette da carcinoma mammario che si sottopongono al test genetico. Scoprire una mutazione BRCA in una donna consente di identificare i parenti a rischio (coloro che hanno la mutazione) e chi ha un rischio equivalente a quello della popolazione generale (coloro che non hanno la mutazione). Durante lo studio è stato rilevato che proprio le donne negative al test BRCA possono essere portatrici del gene mutato FANCM.
“Questo studio – commenta Paolo Peterlongo - è stato realizzato grazie alla collaborazione di molti centri italiani e stranieri che hanno messo a disposizione dati ottenuti nell’ambito di diversi programmi di ricerca. Per poter trasferire i risultati in ambito diagnostico saranno necessarie altre analisi per identificare ulteriori mutazioni nel gene e nuovi dati per determinare con più precisione il loro impatto sul rischio di sviluppare la malattia. In questo contesto risulta dunque importante che le persone che si sottopongono al test BRCA aderiscano ai programmi di ricerca dei maggiori centri oncologici nazionali che mirano all’identificazione di nuovi geni simili a quello identificato dal nostro team di lavoro”.
“Questa ricerca - aggiunge Paolo Radice – è un risultato significativo della collaborazione tra INT e IFOM, impegnati insieme sul fronte della suscettibilità genetica al cancro. I dati emersi incrementano le nostre conoscenze sui diversi geni che contribuiscono a innalzare il rischio di sviluppare un carcinoma mammario. Senz’altro i geni BRCA1 e BRCA2 conferiscono la quota maggiore di rischio. È però già possibile, grazie ai più recenti avanzamenti tecnologici, eseguire test che analizzano simultaneamente interi ‘pannelli’ di geni di predisposizione al carcinoma della mammella, tra i quali in futuro potrebbe essere incluso FANCM. È importante sottolineare che, dal momento che il rischio conferito dipende dal gene alterato e dalla mutazione identificata, è fondamentale che le persone che si sottopongono al test, lo facciano esclusivamente previa consulenza genetica con lo specialista”.
Fonte: Comunicato Stampa Ufficio Stampa Istituto Nazionale dei Tumori, Milano