“Aderisco Perché”, patrocinata da AIDO – Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule, ANED – Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto, EpaC Onlus, SIN – Società Italiana di Nefrologia e SITO – Società Italiana di Trapianti d’Organo, e realizzata grazie al supporto di Astellas, è la prima campagna di sensibilizzazione sul valore dell’aderenza alle terapie rivolta ai pazienti trapiantati e alle loro famiglie.
“Aderisco perché lo devo a chi mi vuole bene”, “Aderisco perché viaggiare è la mia passione”, e “Aderisco perché posso continuare ad essere me stesso”… sono solo alcune delle motivazioni che spingono ad assumere correttamente le terapie Marianna, Giuseppe, Marco, Francesco ed Eugenio, i cinque testimonial del libro “Aderisco Perché – Storie vissute per chi ha una storia ancora tutta da vivere”, ideato e pensato per aiutare i pazienti trapiantati a seguire con costanza e determinazione il percorso di cura. Uno strumento per condividere emotivamente esperienze di vita nel post-trapianto e per far emergere i motivi che spingono i pazienti con forza ad aderire. Il libro verrà distribuito dalle Associazioni promotrici della campagna, AIDO, ANED e EpaC Onlus, oltre che dalle Società Scientifiche, SIN e SITO, all’interno dei Centri di Trapianto e dei Reparti di Nefrologia.
«L’aderenza alle terapie è estremamente importante – afferma Franco Citterio, Presidente SITO, Società Italiana Trapianti d’Organo – questo perché i pazienti dopo il trapianto d’organo devono assumere i farmaci immunosoppressivi per evitare la reazione di rigetto e lo scopo di queste terapie è proprio quello di tenere depresso il sistema immunitario. A volte il migliore dei trattamenti perde efficacia a causa della mancata aderenza, che determina problemi a livello clinico, ma anche economico poiché genera spreco di risorse del sistema sanitario nazionale».
In Italia, nonostante l’aumento del numero di donatori d’organo, superiori del 25% rispetto alla media europea, l’aumento del numero di organi trapiantati, pari a 3.135 contro i 3.068 dell’anno precedente e la diminuzione significativa del tempo di attesa per un trapianto, rimane comunque di fondamentale importanza far comprendere ai pazienti e alle loro famiglie il valore della terapia post trapianto e della corretta e regolare assunzione per ottenere il successo clinico.
«La perdita dell’organo trapiantato, dovuta alla non aderenza alla terapia immunosoppressiva, è un dato che la letteratura più recente ha evidenziato ed esiste il rischio concreto che i pazienti manipolino le terapie fino ad arrivare a sospenderle – osserva Valentina Paris, Presidente ANED, Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto Onlus – gli ostacoli sono due: da una parte la cronicità e la ripetitività della terapia che deve essere assunta per tutta la vita comporta una stanchezza quasi fisiologica, dall’altra il fatto che se succede una tantum di dimenticare la pasticca sembra in apparenza che non succeda niente all’organo o quanto meno dai controlli del sangue le conseguenze non sono immediatamente rilevate. Tutto questo induce il paziente a pensare che “forse i farmaci non servono più”. Da qui la necessità di coinvolgere emotivamente i pazienti anche attraverso iniziative come la campagna “Aderisco Perché”».
Molteplici sono le cause alla base della non aderenza terapeutica (socio-economiche, personali, ambientali), in parte da ascriversi al paziente che spesso ha una scarsa consapevolezza e percezione della propria malattia, in parte da attribuire agli operatori sanitari che a volte non forniscono gli strumenti idonei ai pazienti affinché questi ultimi siano messi in grado di attuare un self care corretto e convinto.
«Il medico ha un’arma molto semplice e diretta per far capire al paziente trapiantato l’importanza di aderire alla terapia immunosoppressiva – spiega Antonio Santoro, Presidente SIN, Società Italiana di Nefrologia – in primo luogo ricordargli la dialisi e che la non aderenza significa rigetto e ritorno ai trattamenti dialitici; in secondo luogo, far leva sul fatto che avere ricevuto in dono un organo è stato un colpo di fortuna enorme e che questo dono va preservato in tutti i modi, specie se è arrivato da un vivente che ha messo a rischio la sua stessa salute per aiutarlo a rivivere. Il dialogo, posto in questi termini, è molto importante, deve farlo il medico oppure uno psicologo del Centro trapiantologico».
Accanto alla giusta informazione, la semplificazione dello schema terapeutico è fondamentale. Sono recentemente state sviluppate nuove formulazioni che permettono la monosomministrazione giornaliera, questo non solo semplifica la terapia ma aumenta la motivazione perché riduce la possibilità di errore e potenzia la fiducia del paziente. La semplificazione terapeutica, la condivisione delle esperienze e un patto di mutua fiducia medico-paziente rappresentano stimoli decisivi per non compromettere gli esiti clinici del trapianto e le prospettive di vita.
«I medici di solito danno per scontato che il paziente aderisca alle terapie, pertanto questo aspetto viene molto spesso trascurato durante le visite proprio perché l’operatore sanitario si concentra su altro, in particolare su problemi di tipo clinico – dice Ivan Gardini, Presidente EPAC Onlus – credo nella necessità di un counselling, verificato e valutato da operatori sanitari esperti durante i controlli che il paziente effettua periodicamente».
La donazione di organi, post-mortem e da vivente, è un gesto volontario di enorme solidarietà. È come restituire la vita a qualcun’altro. L’Italia a livello europeo si colloca al secondo posto, dopo la Spagna, per numero di donatori d’organo, ma è importante continuare l’opera di sensibilizzazione e informazione sul tema della donazione tra l’opinione pubblica, i pazienti in lista d’attesa e le loro famiglie.
«L’informazione – sottolinea Vincenzo Passarelli, Presidente AIDO, Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule – riveste un ruolo importante perché serve a superare paure e pregiudizi che di solito, accompagnandosi a sfiducia e timori di diverso ordine, creano diffidenza verso la donazione. È necessario stimolare la discussione su questo tema tanto importante e lavorare su quelle persone che non sono di per sé contrarie ma nemmeno sufficientemente informate e, quindi, decise».
La terapia post-trapianto
Il trapianto d’organo è un intervento chirurgico, completamente gratuito per il paziente, che consiste nella sostituzione di un organo malato, con uno sano proveniente da un altro individuo che viene chiamato donatore.
Per la maggior parte degli organi il prelievo avviene da donatore non-vivente, nel caso invece di trapianto di un rene o di una parte del fegato il donatore può essere vivente (si può infatti continuare a vivere con un rene solo e con solo una parte del fegato perché in grado di rigenerarsi da solo).
Vengono normalmente trapiantati i reni, il cuore, il fegato, i polmoni, il pancreas e l’intestino.
Il trapianto di cuore, fegato e polmone costituiscono degli interventi salvavita mentre il trapianto di rene rappresenta una valida alternativa terapeutica per malati che altrimenti dovrebbero sottoporsi a dialisi, una cura efficace ma per la quale ogni paziente deve sottoporsi a diverse sedute settimanali di 3-4 ore ciascuna.
Il trapianto risulta essere ad oggi l’unica opportunità di vivere o di riprendere a vivere normalmente.
La terapia immunosoppressiva
Il sogno della medicina dei trapianti si chiama “tolleranza immunologica” ovvero insegnare al sistema immunitario del paziente che riceve l’organo a «tollerare» sin dall'inizio le cellule estranee dell'organo trapiantato. Nonostante questa sia un'importante area di ricerca, ad oggi non esiste una formula per riprodurla clinicamente e il trapianto, di qualunque organo, invariabilmente comporta una lesione tissutale e il rigetto dell'organo trapiantato, a meno che il donatore e l'ospite non siano geneticamente identici ovvero gemelli identici.
Questo significa che se la risposta immunitaria non viene repressa attraverso l’utilizzo di sostanze farmacologiche (immunosoppressori o antirigetto), il tessuto dell'organo trapiantato, riconosciuto come estraneo viene sottoposto all’attacco da parte del sistema immunitario che cerca di “eliminarlo” con conseguente rigetto e successiva perdita dell'organo trapiantato.
Per questo motivo la terapia immunosoppressiva inizia in corrispondenza del trapianto e continua per tutta la vita del paziente. Si compone di diversi agenti che possono essere utilizzati in varie combinazioni e sequenze che cambiano nel tempo diminuendo nel dosaggio man mano che ci si allontana dal momento del trapianto. Alcuni di questi farmaci inoltre vengono assorbiti e metabolizzati in modo diverso nei vari pazienti pertanto non è possibile stabilire una dose fissa a priori. L’assunzione scrupolosa della terapia è fondamentale; la mancata assunzione della stessa o l’assunzione in modo scorretto rischia di far fallire il trapianto, per questo motivo sono state recentemente messe a punto formulazioni a singola somministrazione giornaliera che semplificando l’assunzione per il paziente aumentano l’aderenza alla terapia immunosoppressiva. Come ogni farmaco anche gli agenti immunosoppressori comportano degli effetti collaterali come un aumento delle infezioni, soprattutto nei primi mesi dopo il trapianto quando i dosaggi di questi farmaci sono ancora alti, problemi a livello renale, aumento della glicemia e del colesterolo, ipertensione, diminuzione dei leucociti (globuli bianchi), diarrea e in alcuni casi anche insorgenza di tumori.
L’immunosoppressione ideale dovrebbe cercare l’equilibrio perfetto tra un’alta efficacia nell’impedire il rigetto dell'organo (acuto e cronico) e minori effetti collaterali ottimizzando la qualità di vita del paziente.
La terapia immunosoppressiva si compone di diverse categorie di farmaci:
- Inibitori della calcineurina
- Antiproliferativi e inibitori di m-TOR
- Corticosteroidi
· Anticorpi (monoclonali e policlonali)
Vengono principalmente utilizzati nella fase iniziale o di “induzione" che consiste in un breve periodo di somministrazione intensiva (di solito endovenosa) che inizia durante il trapianto. I preparati anticorpali sono nella maggior parte dei casi impiegati nei pazienti con alto rischio di rigetto dell'organo trapiantato (ad esempio pazienti con alti livelli di anticorpi preformati a causa di precedenti trapianti, trasfusioni o precedenti gravidanze).
Aderenza terapeutica
Si intende per aderenza alla terapia il conformarsi del paziente alle raccomandazioni del medico riguardo ai tempi, alle dosi e alla modalità di assunzione di un farmaco per l’intero ciclo di terapia.
Maggiore aderenza significa minor rischio di ospedalizzazioni, minori complicanze associate alla patologia, maggiore sicurezza ed efficacia dei trattamenti e riduzione dei costi per ulteriori terapie aggiuntive. Gli studi evidenziano che la scarsa aderenza alle prescrizioni mediche è la principale causa di non efficacia della terapia farmacologica ed è associata a un aumento degli interventi di assistenza sanitaria, della morbilità e della mortalità.
L’Italia è al secondo posto in Europa per indice di vecchiaia con conseguenze nell’assistenza sanitaria a causa del numero elevato di pazienti cronici. L’anziano è il soggetto più a rischio di mancata aderenza terapeutica con conseguenze sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.
Dati rapporto OsMed 2013
Secondo il rapporto OsMed poco più della metà dei pazienti ipertesi assume il trattamento antipertensivo con continuità. Quasi il 50% dei pazienti in trattamento con antidepressivi sospende la terapia nei primi tre mesi, e oltre il 70% nei primi sei mesi. I pazienti aderenti sono solo il 38,4% (+2,9% rispetto al 2011). La percentuale di pazienti aderenti agli antidiabetici è del 62,1%. Bassi livelli di aderenza si registrano anche per patologie dell’apparato respiratorio come asma e broncopneumopatia cronica ostruttiva. I pazienti del Sud sono meno aderenti dei pazienti del nord Italia. Studi internazionali europei condotti attraverso interviste indirette e questionari, stimano il dato di non aderenza dei pazienti trapiantati attorno al 30-40%, di cui un 5% di non aderenza intenzionale, soprattutto giovani trapiantati, e un 35% di non aderenti saltuari dei quali il 20% cambia il dosaggio da solo a causa degli effetti collaterali e il restante 10-15% dimentica di assumere le terapie. Studi americani stimano un dato di non aderenza più elevato negli Stati Uniti, circa il 50-60%.
Cause di mancata aderenza terapeutica
I motivi della mancata aderenza ai trattamenti sono di varia natura e comprendono fattori socioeconomici, fattori legati al sistema sanitario e al team degli operatori sanitari, alla condizione patologica, al trattamento e al paziente.
Tra le cause più frequenti, la complessità del trattamento, l’inconsapevolezza della malattia, il decadimento cognitivo, la depressione, la scarsa informazione riguardo le terapie. Altre ragioni di mancata aderenza sono la dimenticanza, la mancata comprensione del regime terapeutico, a volte l’insufficiente spiegazione da parte del medico curante, l’ansia amplificata circa le potenziali reazioni avverse di un certo farmaco, la mancanza di fiducia nel giudizio del medico.
Scenario degli interventi per migliorare l’aderenza
I ricercatori del Cochrane Collaboration hanno realizzato una panoramica di 75 revisioni sistematiche dal titolo “Interventions to improve safe and effective medicines use by consumers: an overview of systematic reviews”, che analizza gli effetti degli interventi attuati nella pratica clinica per migliorare l’efficacia e la sicurezza delle terapie farmacologiche. Nel complesso i risultati dello studio suggeriscono molteplici potenziali percorsi per ottimizzare l’uso dei farmaci ma non ne esiste uno efficace per ogni patologia, popolazione o contesto.
Le strategie che sembrano migliorare l’utilizzo dei farmaci comprendono i programmi di auto-monitoraggio e auto-gestione dei medicinali; promettenti i regimi semplificati di dosaggio e il coinvolgimento diretto dei farmacisti nella gestione dei farmaci.
Strategie per migliorare l’aderenza
Il fattore più importante per provare a migliorare l’aderenza terapeutica è la comprensione delle ragioni per cui uno specifico farmaco è importante per il benessere del paziente. È importante anche valutare il numero dei farmaci prescritti a un paziente e la complessità del regime terapeutico per ciascun paziente; è importante cercare di usare le medicine una sola volta al giorno, individuare il regime farmacologico sulla base della percezione della capacità del paziente di saper assumere quel farmaco e di aderire al protocollo prescritto. Si può dare al paziente un promemoria scritto con l’elenco dei farmaci da assumere, incluse le modalità e i tempi in cui questi vanno presi, e si deve sviluppare un rapporto di dialogo e di fiducia con il paziente educandolo sul “come” e i “perché” dei farmaci. Fondamentale è la collaborazione dei familiari.
Tasso di non aderenza e costi
La non aderenza è un fenomeno molto comune e potenzialmente legata a risultati fatali per i pazienti. Il tasso medio di aderenza nei pazienti statunitensi che assumono un farmaco una volta al giorno è dell’80%, percentuale che scende rapidamente se ai pazienti vengono prescritti più farmaci o se li devono assumere più volte al giorno. L’aderenza si dimezza quando i farmaci devono essere assunti quattro volte al giorno, infatti ben il 75% di tutti i pazienti e il 50% dei pazienti con malattie croniche non riescono ad aderire al regime farmacologico prescritto.
È stato dimostrato che il costo economico della mancata aderenza negli Stati Uniti è pari a 100 miliardi di dollari l’anno.
Intervista a Franco Citterio
Presidente SITO - Società Italiana Trapianti d’Organo
La monosomministrazione giornaliera aumenta l’aderenza alla terapia del paziente trapiantato
Diversi studi evidenziano come la scarsa aderenza al trattamento sia tra le principali cause di risultati clinici sub-ottimali nei pazienti trapiantati d’organo. Quanto conta l’aderenza alle terapie immunosoppressive in funzione dei risultati clinici?
L’aderenza alle terapie è estremamente importante, questo perché i pazienti dopo il trapianto di un organo devono assumere i farmaci immunosoppressivi per evitare la reazione di rigetto e lo scopo di queste terapie è proprio quello di tenere sotto controllo il sistema immunitario. A volte il migliore dei trattamenti perde efficacia proprio a causa della mancata aderenza che determina problemi a livello clinico, come la reazione di rigetto, ma anche economico poiché genera spreco di risorse del sistema sanitario nazionale. Per essere efficaci le concentrazioni dei farmaci devono stare entro un determinato range, al di sotto del quale non funzionano mentre al di sopra possono dare effetti collaterali. Tutto questo richiede che il paziente assuma la terapia immunosoppressiva con regolarità e costanza e si sottoponga alle prescrizioni dei controlli periodici medici e laboratoristici, altro punto cruciale. Se scopriamo che un organo non funziona quando si manifestano sintomi è ovvio che è già troppo tardi. Dunque è ovvio che una buona aderenza alla terapia influenza positivamente i risultati clinici.
In base alla sua esperienza, il medico come può identificare i pazienti trapiantati d’organo a rischio di non aderenza? E attraverso quali interventi individualizzati può aumentare l’aderenza stessa?
È molto frustrante per un medico assistere all’inefficacia di una terapia perché non si è stati capaci di convincere il paziente a seguire le prescrizioni mediche, sebbene sia nel suo interesse farlo. I medici hanno a disposizione diverse metodiche che possono essere utilizzate a questo scopo, tuttavia quella che funziona meglio è costruire un’alleanza terapeutica medico-paziente. Questo tipo di rapporto personalizzato permette al paziente di acquisire consapevolezza sulla malattia e di sentirsi parte attiva nella cura. Esistono poi diversi test di valutazione dell’aderenza come apparecchi elettronici che contano le pillole o strumenti per ricordare di assumere le terapie, ma purtroppo non si sono dimostrate di reale efficacia. Una relazione stretta tra medico e paziente serve a condividere gli obiettivi, permette l’instaurarsi di un rapporto di fiducia e confidenza. Un esempio di come questa relazione può funzionare è il caso in cui si manifestino delle complicanze. Se c’è fiducia e confidenza il paziente telefona subito al medico curante e insieme affrontano il problema, se non c’è questo contatto speciale, il paziente fa da solo e allora combina guai. Al medico resta poi un’altra modalità sicura per valutare l’aderenza: gli esami del sangue, attraverso i quali si conosce la reale concentrazione del farmaco e si misura quanto il paziente è stato aderente alle terapie.
L’aderenza alle terapie presuppone una motivazione forte e sostenuta da parte del paziente: in che misura la semplificazione degli schemi terapeutici e, quindi, la prospettiva di una terapia che si concilia meglio con la vita quotidiana può aumentare questa motivazione?
Direi che la semplificazione dello schema terapeutico cronico è fondamentale. Pensiamo agli ipertesi o ai pazienti diabetici: una cosa è assumere una pasticca al giorno, un’altra è assumerne una ogni 8 ore. La questione si complica terribilmente man mano che aumentano il numero dei farmaci e i tempi di assunzione. Avere un farmaco che possa essere preso una sola volta al giorno non solo semplifica la terapia, ma aumenta la motivazione, perché riduce la possibilità di errore e potenzia la fiducia del paziente.
Intervista a
Fonte: Pro Format Comunicazione