
Una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Neurology, coordinata da un team di ricercatori dell’Università e Ospedale San Raffaele di Milano (Gruppo San Donato) e condotta in collaborazione con l’istituto di ricerca in neuroscienze e ospedale di neuroriabilitazione Santa Lucia IRCCS di Roma, nell’ambito dello studio multicentrico Network-AD project (NET-2011-02346784), riporta la correlazione tra profili cognitivi e sintomi neuropsichiatrici, rilevati con strumenti clinici, e le disfunzioni metaboliche del cervello evidenziate dalla PET, per la prima volta in soggetti con disturbi soggettivi o non ancora classificabili come deficitari.
La necessità di intervenire durante la fase asintomatica che precede l’insorgenza del declino cognitivo nella malattia di Alzheimer e nelle altre malattie neurodegenerative che portano a demenza, è dettata dall’inefficacia dei trattamenti finora sperimentati per modificare la malattia nelle fasi ormai avanzate, una volta comparsi i sintomi di decadimento cognitivo.
La ricerca sanitaria sulla malattia di Alzheimer si concentra, oggi, sullo studio di terapie farmacologiche e di neuroriabilitazione volte a contrastare il lungo decorso dei processi patologici in persone che iniziano ad avere i primi segnali di riduzione delle capacità cognitive pur rimanendo nell’ambito della cosiddetta normalità funzionale.
In quest’ottica, lo studio pubblicato su Neurology dai ricercatori del Network AD-Project, che ha visto la collaborazione delle equipe di ricerca della prof.ssa Daniela Perani, group leader dell’Unità di Neuroimmagine strutturale e molecolare in vivo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e ordinario all’Università Vita-Salute San Raffaele, e del dott. Gianfranco Spalletta, neuropsichiatra del Santa Lucia IRCCS di Roma, ha coniugato l’indagine neuropsicologica e neuropsichiatrica con analisi di neuroimmagine funzionale e molecolare PET di eventuali cambiamenti patologici al livello metabolico cerebrale e di accumulo della proteina amiloide, biomarcatore della malattia di Alzheimer, in soggetti in fase preclinica.
Tra le popolazioni ritenute a rischio per la malattia di Alzheimer o altre condizioni che possono progredire a demenza sono anche le persone con disturbi cognitivi soggettivi (SCD), ossia che lamentano una riduzione delle prestazioni cognitive, ma senza evidenza clinica di questi disturbi, o quanti mostrano clinicamente una riduzione di capacità pur rimanendo nei limiti della normale performance ad una valutazione cognitiva (pre-MCI).
Determinare all’interno di queste popolazioni chi è maggiormente predisposto a sviluppare negli anni la malattia di Alzheimer o altre forme di demenza o invece rimanere clinicamente stabile potrà indirizzare l’utilizzo delle terapie disponibili a quanti mostrano evidenza già in fase preclinica dei processi patologici caratteristici di specifiche malattie neurodegenerative inclusa quella di Alzheimer.
L’estesa analisi neuropsicologica e neuropsichiatrica che ha coinvolto 105 persone (49 SCD e 56 pre-MCI) senza o con minime riduzioni delle capacità cognitive, ha permesso di dimostrare la correlazione tra determinati profili clinici e specifiche disfunzioni nell’attività metabolica cerebrale rilevate attraverso la FDG-PET, esame che misura l’attività dei neuroni anche in soggetti in queste condizioni pre-cliniche, come dimostrato per la prima volta da questa ricerca. Lo studio dimostra che in più della metà di questi soggetti erano osservabili specifici quadri di ridotto metabolismo cerebrale, riconducibili alla malattia di Alzheimer o ad altre patologie, mentre i restanti individui non mostravano segni di ipometabolismo e quindi di neurodegenerazione. Questi risultati suggeriscono in realtà un’eterogeneità in questa popolazione dove, l’esistenza di malattia o la progressione a demenza è più probabile solo in alcuni. La dimostrazione di normalità alle neuroimmagini PET è un elemento cruciale per stabilire quindi anche una prognosi clinica positiva.
Commenta il dott. Gianfranco Spalletta: “Abbiamo rilevato che la presenza di alcuni sintomi sub-clinici di depressione ed anedonia, un’evenienza che andrebbe monitorata perché ritenuta predittiva di una possibile evoluzione verso la demenza, è correlata ad un quadro di ipometabolismo cerebrale non prettamente tipico della demenza di Alzheimer e senza evidenza di altri biomarcatori della malattia, come i depositi di proteina amiloide. Da questi risultati emerge quindi la centralità di utilizzare un’approfondita indagine neuropsicologica e neuropsichiatrica per fornire indicazioni diagnostiche e prognostiche nelle fasi precoci della malattia e restringere ulteriormente le ipotesi, “In particolare attraverso l’uso delle neuroimmagini funzionali FDG-PET per rilevare o meno disfunzioni suggestive di specifiche malattie neurodegenerative”, suggerisce la professoressa Daniela Perani.