
In Italia, recenti studi epidemiologici hanno rivelato che solo il 37 per cento degli ipertesi è ‘a target’, cioè presentava dei livelli di pressione ottimale. Un problema non da poco considerato, che ad essere affetto da ipertensione è circa un quarto degli adulti e oltre il 70 per cento dei soggetti di età superiore ai 65 anni, stando ai dati epidemiologici raccolti dalla Medicina Generale. Un ‘fallimento’ terapeutico e un appuntamento mancato con la prevenzione cardiovascolare (l’ipertensione è uno dei fattori di rischio più impattanti per ictus e malattie cardiovascolari) che può avere tante spiegazioni, dalla mancata aderenza alla terapia (il numero dei ‘discontinuers’, cioè degli ipertesi che abbandonano il trattamento supera il 50-60 per cento del totale secondo recenti indagini condotte in Italia), alla necessità di rivedere strategie e obiettivi terapeutici. “A questi aspetti – ricorda il professor Massimo Volpe, presidente della Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare e ordinario di Cardiologia presso l’Università ‘La Sapienza’, Ospedale Sant’Andrea di Roma - ha dato grande rilevanza l’ultima edizione delle linee guida europee, siglata congiuntamente dalla Società Europea dell’Ipertensione (ESH, chairman il professor Giuseppe Mancia) e dalla Società Europea di Cardiologia (ESC, chairman il professor Bryan Williams)”.
I nuovi concetti che emergono dall’ultima edizione delle linee guida europee sull’ipertensione relativi alle nuove strategie da adottare sono: l’impiego preferenziale delle associazioni di due farmaci nella stessa pillola (associazioni precostituite) sin dall’inizio del trattamento e il cercare di raggiungere gli obiettivi terapeutici nel minor tempo possibile, idealmente entro i primi tre mesi. “La tradizionale terapia ‘a scalini’ dell’ipertensione arteriosa – riflette il professor Volpe - non consente di raggiungere il traguardo terapeutico dei 130 mmHg di sistolica entro 3 mesi. Per questo le nuove linee guida suggeriscono di iniziare subito il trattamento con un’associazione di due farmaci (tipicamente un ACE inibitore o un sartano insieme ad un calcio antagonista o a un diuretico), preferenzialmente in associazione precostituita, cioè in un’unica pillola, per favorire la compliance del paziente. La monoterapia andrà riservata ai pazienti con ipertensione di grado 1, agli anziani e ai pazienti più fragili, che non rappresentano più del 20-25 per cento degli ipertesi”.
Gli studi clinici hanno dimostrato che prima si raggiunge l’obiettivo terapeutico, maggiore e più sostenuto sarà il vantaggio cardiovascolare . “Nei cosiddetti ‘immediate responders’ – spiega il professor Volpe - si ottiene infatti una maggiore riduzione degli eventi cardiaci fatali e non fatali, dei casi di ictus e di infarto, dei ricoveri per scompenso cardiaco e della mortalità per tutte le cause. Seguendo i criteri della rapida riduzione della pressione arteriosa (raggiungere il target di sistolica entro tre mesi) e di utilizzare da subito le associazioni di 2 farmaci all’interno di una singola pillola, probabilmente la nostra generazione di medici riuscirà finalmente a vedere ridotta in maniera importante la percentuale di ipertesi non a target”.
“L’ipertensione arteriosa – afferma il professor Giuliano Tocci, responsabile del Centro ipertensione dell’Ospedale Sant’Andrea e professore associato di Cardiologia, Università ‘La Sapienza’ di Roma - rappresenta ancora oggi il principale fattore di rischio responsabile di eventi fatali a livello mondiale. Le principali malattie cardiovascolari, tra cui infarto, ictus, insufficienza cardiaca, sono molto spesso riconducibili ad un aumento della pressione arteriosa, che si è protratto per anni, spesso in modo del tutto asintomatico, determinando un aumento del rischio di eventi cardiovascolari fatali”. Nonostante sia nota da tempo la stretta relazione esistente tra ipertensione e rischio di eventi cardiovascolari fatali, il controllo dell’ipertensione arteriosa in Italia e nel mondo è ancora largamente insoddisfacente. “Sulla base di tali considerazioni e in virtù dell’enorme impatto socio-economico e sanitario a livello della popolazione generale – prosegue il dottor Tocci - appare giustificato il grande interesse rivolto alle nuove edizioni delle linee guida internazionali per la diagnosi e la terapia dell’ipertensione arteriosa. Le nuove linee guida americane ed europee differiscono sotto vari punti di vista: i criteri diagnostici, gli strumenti per la stima del rischio cardiovascolare, la scelta dei farmaci e l’intensità del trattamento farmacologico. Entrambi le edizioni delle linee guida, invece concordano nel sostenere che l’ipertensione arteriosa è una condizione ad elevato impatto sociale, che andrebbe prevenuta soprattutto attraverso un corretto stile di vita e la correzione delle abitudini sbagliate (fumo, sedentarietà, dieta con eccessivo consumo di grassi e calorie).
Altro punto di convergenza tra linee guida europee e americane è il fatto che, una volta che la malattia si è resa manifesta, il controllo dei valori pressori andrebbe raggiunto il più rapidamente possibile e mantenuto entro i valori considerati normali, al fine di ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari, cerebro-vascolari e renali. A tal fine l’uso delle terapie di combinazione precostituite si è dimostrato un elemento molto utile nella gestione clinica quotidiana dell’ipertensione arteriosa - conclude Tocci - soprattutto in virtù del fatto che tali terapie hanno dimostrato di garantire una migliore aderenza alla terapia, particolarmente nel paziente che assume diversi farmaci o strategie terapeutiche complesse (paziente politrattato)”.
Fonte: Ufficio Stampa Siprec