L’esperienza dell’ambulatorio condiviso Dermatologia ed Ematologia degli Spedali Civili di Brescia per il Linfoma Cutaneo a Cellule T

Esistono oltre 50 tipologie diverse di linfomi, e questo fa sì che si tratti di una patologia complessa e molto variegata, che può colpire numerosi organi e apparati, e che in base alla sede o allo stadio di malattia, richiede un trattamento mirato e personalizzato.
Nel caso del Linfoma Cutaneo a Cellule T il dermatologo spesso è il primo medico a cui il paziente si rivolge in cerca di risposte, ma è necessario il coinvolgimento di altre figure come l’anatomopatologo in fase diagnostica, l’ematologo per il coinvolgimento sistemico, lo psicologo dal momento che è una patologia che ha un forte impatto sulla quotidianità.
Il Linfoma Cutaneo a Cellule T (CTCL)
Il CTCL appartiene alla più ampia categoria dei linfomi non Hodgkin (NHL), ovvero dei tumori maligni che colpiscono i linfonodi e il sistema linfatico.
La variante più comune di linfoma cutaneo a cellule T è la micosi fungoide mentre la più rara prende il nome di Sindrome di Sézary (una forma di CTCL aggressivo).
Il trattamento del linfoma cutaneo a cellule T è molto personalizzato, viene modulato in rapporto alla tolleranza ed alla risposta del paziente. Sono diversi e numerosi i fattori che influenzano la scelta della terapia più idonea (la tipologia ed estensione di lesioni cutanee, il coinvolgimento dei linfonodi, le caratteristiche istologiche del CTCL, ecc.), ma il più determinante è rappresentato dallo stadio clinico della malattia. In base a tali parametri, viene stabilito il ricorso a una terapia cutanea e/o sistemica, quest'ultima basata su farmaci e trattamenti specifici. Per i pazienti con malattia ad alto rischio, inoltre, può rendersi necessario il ricorso al trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche.
Ad oggi nei pazienti che rispondono al trattamento l’obiettivo non è solo la remissione, ma anche ottenere una risposta stabile nel tempo.
In Italia non vi sono ancora dati epidemiologici certi, il principale problema che si riscontra con queste patologie è che spesso le manifestazioni cliniche e istopatologiche possono essere aspecifiche, rendendo quindi complessa la diagnosi. Il tempo mediano, infatti, dall’insorgenza dei sintomi alla diagnosi, è di circa 3-4 anni arrivando in certi casi anche a superare i 40 anni.
La malattia allo stadio iniziale può presentare chiazze o placche ad interessare una superficie cutanea limitata; di solito non si manifesta progressione di malattia ma in circa un terzo dei casi il decorso può essere progressivo producendo estensione ed evoluzione delle lesioni cutanee..
Proprio per il possibile iniziale coinvolgimento cutaneo, come dicevamo, è frequente che sia proprio il dermatologo la prima figura a riscontrare l’insorgere di questa rara patologia; ma, in considerazione del suo possibile evolversi, un approccio multidisciplinare in un centro specializzato offre una presa in carico globale che aiuta il paziente a sentirsi accolto e ascoltato. Un’esperienza unica nel suo genere è quella degli Spedali Civili di Brescia dove è in funzione un ambulatorio condiviso Dermatologico-Ematologico. Ne abbiamo parlato con le responsabili per capire il valore aggiunto di un centro dedicato ai linfomi cutanei a cellule T.
Dottoressa Sala, i linfomi cutanei sono un gruppo di linfomi non- Hodgkin (NHL), rari, di difficile individuazione. Spesso il segno clinico più evidente sono le manifestazioni cutanee; quindi, è spesso il dermatologo che intercetta la malattia, è corretto? Ci può descrivere i segni caratteristici di malattia e le sfide che deve affrontare il dermatologo nella diagnosi?
Dottoressa Sala: È vero, il dermatologo può essere la prima figura implicata nella diagnosi di questa patologia perché quasi sempre la manifestazione iniziale è a livello cutaneo presentandosi con macchie eritematose (quindi rosse) che possono essere più o meno numerose, pruriginose e assumere caratteristiche diverse nel corso del tempo.
Queste lesioni spesso sono confondenti, nel senso che possono simulare altre patologie di natura infiammatoria che sono molto più frequenti (come l’eczema o la psoriasi), per cui può succedere che, come prima ipotesi diagnostica, si prenda in considerazione una patologia di più frequente riscontro rispetto al linfoma cutaneo.
Tale ipotesi invece va tenuta in considerazione, possibilmente sin dall'inizio, quando si vedono delle lesioni soprattutto in sedi coperte e quindi non foto esposte, che tendono a recidivare o a persistere negli anni, pruriginose (anche se questa è una caratteristica non sempre presente) e che a volte sono poco responsive alle terapie topiche con cortisone.
Il sospetto clinico va poi validato dal referto istologico che è mandatorio per poter arrivare a una diagnosi di certezza. Questo iter può durare anche alcuni anni; a volte succede che le lesioni non siano così disturbanti da spingere il paziente a rivolgersi tempestivamente allo specialista, con il rischio di trascurare la manifestazione e di ritardare così la diagnosi. In altri casi può essere il medico dermatologo che non pensa come prima ipotesi ad un linfoma cutaneo, per cui le tempistiche possono essere abbastanza protratte.
In realtà si tratta di una patologia non così infrequente; quindi, è da tenere in considerazione soprattutto quando si vedono delle lesioni che tendono a ripresentarsi.
Dr.ssa Tucci, spesso queste macchie o chiazze sono purtroppo accompagnate anche da un interessamento sistemico. Come sincerarsene? Quali sono invece le sfide che incontra l’ematologo nella diagnosi e come può contribuire alla presa in carico del paziente affetto da questa malattia?
Dr.ssa Tucci: va fatta una stadiazione, cioè, appurata la diagnosi attraverso una biopsia della lesione cutanea, si deve ricercare un eventuale coinvolgimento sistemico (extra cutaneo) della malattia. Si inizia quindi con degli esami ematici di base, dal semplice emocromo per poi procedere alla tipizzazione. Si prosegue poi con esami generali, quali LDH che è un marcatore di proliferazione e ci può dare delle indicazioni sulla aggressività della malattia e si procede poi con una tipizzazione del sangue periferico attraverso dei marcatori specifici, per vedere se c'è una localizzazione della malattia anche nel sangue periferico. Questo passaggio è importante per escludere che si tratti di una sindrome di Sezary o semplicemente per definire la classificazione TNMB della micosi fungoide (la B sta per Blood). Quindi la percentuale di eventuali cellule nel sangue periferico fa cambiare la stadiazione, per questo è importante. Un altro accertamento da fare è l’esame obbiettivo, mirato ad escludere un ingrossamento dei linfonodi nelle stazioni superficiali. Successivamente si deve procedere con la ricerca di eventuali linfonodi profondi attraverso una TAC torace, addome e pelvi o nei casi più lievi a livello cutaneo può essere sufficiente una ecografia dell'addome o un RX del torace, essendo molto rara la probabilità di un coinvolgimento sistemico, soprattutto se non ci sono sintomi o segni sospetti.
La biopsia del midollo osseo invece non è mandatoria soprattutto all'inizio e quindi non viene quasi mai proposta.
Dalla necessità di lavorare in multidisciplinarietà, nasce il vostro progetto di ambulatorio condiviso da Ematologia e Dermatologia in funzione presso gli Spedali Civili di Brescia. Ce ne potete parlare? Quali sono le vostre esperienze con pazienti Linfoma Cutaneo a Cellule T affetti da MF e SS, quali i loro bisogni, cosa impatta principalmente sulla loro qualità di vita?
Dr.ssa Tucci: Questo ambulatorio congiunto è nato nel 2003 per cui rappresenta un’esperienza ormai ventennale e penso che siamo stati un po’ i precursori. Sappiamo che ancora oggi non sono tanti i centri in cui esiste questo tipo di ambulatorio e pensiamo sia un valore aggiunto: al vantaggio clinico dell’esaminare contemporaneamente sia gli aspetti cutanei che sistemici, si aggiunge la maggior tranquillità del paziente dal punto di vista psicologico; l’approccio multidisciplinare può essere rassicurante.
Questa malattia impatta molto sulla qualità della vita di chi ne soffre e penso che il prurito sia la manifestazione più invalidante.
Dottoressa Sala: Ovviamente è una malattia che si manifesta e che si vede; quindi, se le lesioni sono visibili questo può determinare vergogna da parte del paziente nell'ambito sociale e sicuramente impatta molto, sia da un punto di vista psicologico che relazionale, soprattutto nelle fasi della malattia più avanzate e impegnative. Il fatto di lavorare insieme come team multidisciplinare e avere facilità di accesso a tuttigli specialisti che gestiscono la patologia rende sicuramente più facile al paziente l’affrontare l'iter terapeutico. Il paziente, infatti, non deve spostarsi per prendere appuntamenti, in quanto tutto viene gestito da noi. E’ sufficiente che si rechi alla visita e si sottoponga agli esami che gli vengono prescritti. Questo approccio fa una grande differenza e lo vediamo in pazienti che vengono da altre realtà lin cui invece invecedevono continuamente spostarsi, telefonare, faticare ad avere contatti. Con questa organizzazione il paziente è sicuramente agevolato e può pensare solo alla sua patologia senza doversi preoccupare troppo dell'aspetto pratico.
Dr.ssa Tucci: Questo aspetto è molto importante perché nel team multidisciplinare, oltre ad ematologo e dermatologo che sono sicuramente le figure principali con cui il paziente si interfaccia, spesso possono intervenire altri specialisti nel percorso di gestione della malattia. Ad esempio, può essere necessario l’intervento del radioterapista e siamo sempre noi che forniamo questi appuntamenti e facciamo visite congiunte anche con il radioterapista (se serve) o con il medico del centro trasfusionale; ci sono infatti delle procedure terapeutiche, come la fotoferesi, che vengono gestite dal centro trasfusionale. Altro esempio è l’intervento dell’anatomopatologo che spesso è proprio il primo che formulala diagnosi - e considerando che spesso non è così facile da definire all'inizio, perché sia dal punto di vista clinico che da quello anatomopatologico a volte possono esserci dubbi, il confronto diretto può essere molto utile.
La multidisciplinarità è da sempre in medicina un valore aggiunto, ma in questo caso specifico lo è particolarmente. Una cosa di cui bisogna tener conto è che questa è una malattia che purtroppo non guarisce, è una malattia cronica che a volte è molto ben gestita e non ha un impatto sulla durata della aspettativa di vita, però dire a un paziente che da questa malattia non si guarisce può essere molto impattante sulla sua qualità vita.
Abbiamo detto che il Linfoma Cutaneo è molto invalidante e la diagnosi di malattia rara può destabilizzare la persona. A vostro parere, come il rapporto medico-paziente può contribuire a migliorare la gestione del paziente stesso e della sua qualità di vita?
Dottoressa Sala: Soprattutto all'inizio, quando il paziente riceve la diagnosi, è molto impaurito, perché ovviamente si trova a dover affrontare una problematica sostanzialmente oncologica; quindi, all'inizio si prova un senso di paura e smarrimento. Il primo bisogno è avere un supporto in questo senso; però se vengono fornite informazioni chiare sin da subito, cercando di spiegare quanto meglio possibile la malattia, i pazienti tendono poi a fidarsi e a tranquillizzarsi. Quindi è importante avere empatia nei confronti del paziente, cercando di interpretare la sua reazione e nel limite del possibile rispondere e assecondare le sue manifestazioni, le sue richieste. Generalmente poi col passare del tempo la malattia viene vissuta più tranquillamente e nella maggior parte dei casi il paziente riesce a conviverci per quanto comunque debba spesso modificare qualche aspetto della sua vita quotidiana.
Dr.ssa Tucci: ci sono alcuni casi, per fortuna non così frequenti, in cui la malattia diventa veramente impegnativa, importante. Oggi possiamo offrire nuovi farmaci (anticorpi monoclonali), e ci sono pazienti che addirittura possono essere candidati ad un trapianto allogenico. Quindi è una malattia per la maggior parte dei casi gestibile, anche se vi è una piccola percentuale di pazienti con forme molto più impegnative. Soprattutto a questi pazienti possiamo offrire il supporto di un'altra figura che fa parte del nostro team: lo psicologo; abbiamo pazienti che hanno tratto un notevole vantaggio dal supporto psicologico; ovviamente parliamo di pazienti in cui la malattia è veramente pesante da sopportare e in questi casi poter offrire un supporto psicologico è parte della cura stessa.