La parola linfoma racchiude uno spettro molto variegato di entità di patologie, molto eterogenee tra loro per modalità di presentazione clinica, prognosi e gestione terapeutica. La fase diagnostica è cruciale per una corretta gestione della patologia e in base alla sede o allo stadio di malattia, il percorso avviato prevede un approccio più o meno intensivo. Cucire lo schema terapeutico sul profilo clinico ma anche sociale e psicologico di ogni singolo paziente è oggi l’obiettivo per un miglior “outcome” clinico e una migliore qualità della vita.

Nel caso del Linfoma Cutaneo a Cellule T ad esempio è importante un approccio multidisciplinare e multimodale con numerosi specialisti coinvolti.
Il Linfoma Cutaneo a Cellule T (CTCL)
Il CTCL appartiene alla più ampia categoria dei linfomi non Hodgkin (NHL), ovvero dei tumori maligni che colpiscono i linfonodi e il sistema linfatico più in generale.
La caratteristica di questi linfomi è quella di insorgere primitivamente in una sede extranodale, nello specifico la cute, che può rimanere per lungo tempo l’unica sede della malattia.
La variante più comune di linfoma cutaneo a cellule T è la micosi fungoide (una forma di CTCL indolente), mentre la Sindrome di Sézary (una forma di CTCL aggressivo), più rara in termini di incidenza, si caratterizza per la presenza di un concomitante interessamento ematico/leucemico.
Il trattamento del linfoma cutaneo a cellule T è variabile, dovendosi modulare sulla base della tolleranza ai diversi tipi di trattamento nei singoli pazienti. Molteplici sono i fattori che influenzano la scelta della terapia più idonea (sottotipo istologico, tipologia ed estensione delle lesioni cutanee, eventuale coinvolgimento linfonodale e/o di altre sedi extra-cutanee, etc.) a comprendere ovviamente lo stadio clinico della malattia. Questi parametri sono quelli che determinano la scelta tra una terapia locale (cutanea) versus una terapia sistemica, quest'ultima basata su farmaci chemio e/o immunoterapici. Nel caso di pazienti non rispondenti alle terapie in uso o nei pazienti in stadio ormai molto avanzato di malattia sui quali i trattamenti non risultano più efficaci, è possibile il ricorso al trapianto midollare, che, specie in alcune forme di CTCL e in mani esperte, ha fornito risultati incoraggianti.
Anche grazie alla disponibilità di nuove opzioni terapeutiche, l’obiettivo che ci si pone oggi non è solo quello di ottenere una remissione temporanea della malattia, ma anche quello di poter garantire ai pazienti una risposta stabile nel tempo.
In generale, i dati epidemiologici sui linfomi primitivi cutanei sono relativamente scarsi e disomogenei, provenendo da casistiche redatte nei singoli paesi, e con modalità di raccolta dati spesso non omogenea.
Alcuni linfomi cutanei, e tra questi in particolare la micosi fungoide, sono caratterizzati, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, da una presentazione clinica relativamente aspecifica che spesso mima una patologia infiammatoria.
Questo rende la diagnosi complessa e giustifica, almeno in parte, il ritardo con il quale si giunge a una diagnosi di certezza, ritardo che nel caso della MF è stato stimato, da un recente studio europeo, in circa 3 anni.
Una figura assolutamente centrale nel percorso che porta a formulare una diagnosi di linfoma cutaneo, è quella dell’anatomopatologo, cui spetta il compito non solo di identificare con precisione il sottotipo istologico del linfoma, ma anche di identificare una serie di marcatori biologico-funzionali, associati a rilevanti informazioni sul versante prognostico-predittivo e terapeutico.
Consapevoli della rilevanza diagnostica dell’anatomopatologo, varie aziende e tra queste in particolare la Kyowa Kirin, azienda farmaceutica specializzata nel settore, hanno iniziato una politica di forte supporto educazionale in quest’ambito tematico dove l’expertise dell’anatomopatologo può fare la differenza nel giungere a una diagnosi certa in tempi ragionevoli.
Per comprendere meglio il ruolo del patologo e la sua funzione nel contesto di un team diagnostico multidisciplinare, abbiamo approfondito il tema con il Prof. Marco Paulli Professore Ordinario di Anatomia Patologica del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia e Direttore della U.O. di Anatomia Patologica della Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo di Pavia
- Qual è il ruolo dell'anatomopatologo nel team multidisciplinare che gestisce i pazienti con CTCL, in particolare micosi fungoide e sindrome di Sézary?
Premetto che per qualsivoglia patologia di natura linfoproliferativa, e non solo, un approccio diagnostico moderno richiede come “conditio sine qua non”, l’apporto di un team multidisciplinare, meglio se contestualizzato nell’ambito di un percorso diagnostico terapeutico strutturato, il cosiddetto PDTA.
Nell’ambito di questo percorso, il dermatologo è il primo che può sospettare clinicamente un possibile linfoma cutaneo, ma la conferma diagnostica richiede obbligatoriamente un prelievo bioptico, e una diagnosi istopatologica con una diagnosi, che può essere a seconda dei casi di compatibilità, di certezza o anche di una eventuale lesione non linfoproliferativa ma “semplicemente” infiammatoria. Soprattutto per alcuni sottotipi di linfoma, quali in particolare la micosi fungoide iniziale, la diagnosi può non risultare immediata e possono essere necessari ulteriori passaggi bioptici nel contesto di un “follow-up” del paziente.
- Quali sono le sfide principali che gli anatomopatologi affrontano nella diagnosi di CTCL, considerando che soprattutto la micosi fungoide può simulare altre patologie che colpiscono la cute?
Il problema riguarda in realtà tutti quelli che fanno parte di questo team diagnostico: pur non potendosi definire come patologie rare nel senso più restrittivo del termine, i linfomi primitivi cutanei sono comunque relativamente poco frequenti. Con queste premesse alcuni linfomi T primitivi cutanei, e soprattutto la MF, possono presentarsi inizialmente con caratteristiche sia cliniche che istologiche, di grande ambiguità, tali da porre importanti problematiche di diagnostica differenziale anche a dermatologi e clinici di esperienza. Sono decine le possibili diagnosi differenziali a comprendere non solo altri linfomi, ma anche una gamma estremamente ampia di forme infiammatorie/reattive, non neoplastiche, non ultime, delle semplici dermatiti croniche. Il quadro è reso ulteriormente complicato dalla possibile presenza di quadri infiammatori sovrapposti alla MF. Come anticipato la biopsia è il punto di partenza per giungere a una diagnosi di certezza. Non è infrequente che nelle fasi iniziali della malattia (cosiddetta “MF early”) la popolazione di cellule T linfomatose sia estremamente esigua e con caratteristiche di atipia solo modeste, mimando, anche sul versante istologico, dei quadri infiammatori. In questi casi è fondamentale che il patologo utilizzi al meglio una serie di moderni ausili diagnostici quali l’immunoistochimica e la biologia molecolare che, se di per sé soli non conclusivi, permettono tuttavia, in molti casi, di sostanziare una diagnosi incerta se basata sul solo dato morfologico.
- Come si integra il lavoro dell'anatomopatologo con gli altri membri del team, come dermatologi, ematologi, radioterapisti nel processo di diagnosi e gestione dei pazienti con CTCL?
In un percorso ideale, i pazienti dovrebbero essere seguiti da un team diagnostico, gestionale e terapeutico integrato nell’ambito di una “Linfoma Unit”, interamente dedicata ai linfomi sia sistemici che extranodali (cutanei). La realtà operativa è purtroppo spesso diversa. Sono infatti pochissimi i centri dove sono presenti strutture che si avvicinano al modello ideale sopra indicato. I fattori alla base di questa mancanza sono molteplici e non è questa la sede per entrare nel dettaglio, ma basti pensare che non tutti Centri dispongono dell’intero spettro di specialisti necessario alla gestione di queste patologie e che, comunque, i livelli di expertise sono molto diversi, anche nell’ambito delle stesse Regioni.
Il modello al quale si deve tendere è quello indicato ma ciò non toglie che sia necessario adoperarsi per migliorare lo scenario attuale. In prima istanza è fondamentale migliorare la comunicazione proprio tra il dermatologo e il patologo; spesso il dermatologo non invia l’immagine clinica della lesione, e questo diminuisce fortemente il livello di informazione e l’efficacia diagnostica del patologo. Fondamentale è anche la tipologia del campione bioptico, spesso costituito da biopsie (le cosiddette “punch biopsies”), di pochi millimetri, poco fastidiose per i pazienti, ma spesso problematiche per il patologo in quanto quantitativamente esigue, e con frequenti alterazioni determinate dal prelievo. Nasce quindi la necessità di un confronto collaborativo tra specialisti con l’obbiettivo comune di migliorare il percorso gestionale del paziente, abbreviando i tempi diagnostici e rendendo più agevole la diagnosi.
- In che modo la comunicazione efficace tra l’anatomopatologo e il resto del team multidisciplinare, in particolare il dermatologo, può contribuire a garantire un percorso diagnostico e terapeutico ottimale per i pazienti, migliorando così la loro qualità di vita?
Come già evidenziato nel quesito precedente, una comunicazione e quindi una collaborazione sono la conditio sine qua non per garantire la piena funzionalità di qualsiasi gruppo multidisciplinare. La letteratura in materia ci evidenza come una diagnosi certa di MF sia spesso una diagnosi tardiva, potendo richiedere anche 2-3 anni. Nel caso specifico questo ritardo diagnostico non ha conseguente drammatiche in quanto la gran parte dei pazienti con MF ha un decorso clinico relativamente indolente quantificabile in anni. Peraltro la disponibilità di una serie di nuovi farmaci apre scenari promettenti nei quali anche un trattamento condotte già nelle primissime fasi della malattia potrebbe determinare significativi e favorevoli cambiamenti sulla evoluzione clinica di questo peculiare tipo di linfoma. Non si deve poi dimenticare che, nonostante l’andamento clinico relativamente favorevole, la MF comporta tuttavia una serie di inconvenienti per i pazienti, da semplici problemi estetici sino a sintomi più complessi (prurito, infezioni cutanee, etc.) in grado di influire negativamente sulla qualità della vita di questi pazienti. In sintesi, prima si arriva ad una diagnosi certa e meglio è, così da poter programmare un percorso terapeutico il più possibile efficace e personalizzato sulle esigenze del singolo paziente.
- Come l'anatomopatologo può contribuire alla prognosi dei pazienti con CTCL, considerando le varie presentazioni cliniche e la risposta ai trattamenti disponibili?
Il patologo è ancora una volta fondamentale, i linfomi cutanei sono infatti un gruppo estremamente complicato ed eterogeneo di patologie. A fronte di quadri clinici a volte simili possono corrispondere comportamenti biologici, in termini di “outcome” del paziente, anche drammaticamente diversi. È indispensabile quindi che il patologo possegga un adeguato “expertise” e sia in grado di caratterizzare in modo compiuto quello che è il preciso sottotipo di linfoma cutaneo.
L’ “expertise” del singolo patologo richiede di essere integrato da una serie di dati sia clinici (aspetto, sede, comportamento della lesione) che biologico-funzionali, questi ultimi ottenibili grazie all’impiego delle già citate indagini di immunoistochimica e biologia molecolare.
Oggi il patologo dispone di una serie di marcatori fondamentali per una precisa sotto-classificazioni dei linfomi cutanei e non, tutti desumibili dalle linee guida contenute nella più recente (2024) classificazione dei linfomi edita dalla Organizzazione Mondiale della Sanita (“WHO Lymphoma Classification”), un riferimento insostituibile per tutti gli specialisti (clinici e patologici) che operano in ambito emolinfopatologico. Tra questi marcatori ve ne sono alcuni di grande valenza informativa sia in termini di prognosi che di gestione terapeutica, essendo in grado di evidenziare possibili bersagli molecolari per la cosiddetta medicina di precisione, fondamentali per programmare un “patient journey” ottimale.
- Quali sono gli sviluppi futuri nell'analisi patologica dei linfomi cutanei e in che modo potrebbero influenzare il percorso del paziente e il trattamento di pazienti con micosi fungoide e sindrome di Sézary?
Ci sono molte promettenti opzioni all’orizzonte e tra queste spicca sicuramente l’obbiettivo di poter disporre di marcatori più efficaci che siano in grado di dimostrare la cosiddetta monoclonalità della popolazione neoplastica (ovvero la derivazione da un unico clone cellulare di tutta la popolazione neoplastica). Anche se il concetto di monoclonalità non deve essere ritenuto equipollente a quello di malignità. La dimostrazione di un infiltrato cellulare monoclonale in un adeguato contesto morfologico e immunoistochimico, riveste comunque un’importanza fondamentale.
La sempre maggior diffusione di tecniche molecolari sofisticate quali la NGS (“Next Generation Sequencing”) consentirà sicuramente di affinare le nostre capacità di analisi della clonalità, sia sul campione bioptico iniziale che su eventuali ulteriori biopsie in caso di incertezza diagnostiche o di recidive di malattia già diagnostica; la stessa metodologia d’indagini potrà essere applicata anche sul sangue periferico, facilitando così un vero e proprio monitoraggio della malattia. Altri sviluppi sono attesi sia per quanto riguarda nuovi marcatori di malattia, sia da una serie di studi sul microambiente tumorale e su di una serie di correlati “check-points funzionali”, possibili bersagli di future immunoterapie.
Mentre gli sviluppi tecnologici e della ricerca sono promettenti, il problema oggi più cogente appare quello di una prossima, ma inevitabile, carenza di expertise. La disciplina dell’anatomia patologia, nonostante sia centrale nella pressoché totalità degli ambiti diagnostici, registra infatti una drammatica crisi vocazionale, con livelli di criticità paragonabili a quelli ben più noti relativi alla carenza dei medici dedicati alla medicina d’urgenza nelle strutture di Pronto Soccorso. La complessità delle classificazioni, l’alto livello di responsabilità legata a una formulazione diagnostica su tematiche in continuo divenire classificativo, non ultimo, il basso livello retributivo non commisurato all’entità dell’impegno professionale, allontano sempre di più i giovani, attratti da specializzazioni meno complesse e più remunerative. E’ un tema rilevante, anche se non adeguatamente attenzionato dai media, e che richiede sia correttivi immediati sia la necessità di ripensare ai modelli organizzativi attuali, oggi non più in rispondenti a queste criticità. I centri di riferimento appaiono sempre più necessari sia per una conferma diagnostica che per una adeguata gestione terapeutica del paziente; a questo si deve comunque affiancare e intensificare l’attività educazionale. E’ importante che l’informazione su queste particolari patologie, meno rare di quel che si pensi, sia estesa non solo agli specialisti ma anche ai medici di medicina generale sul territorio, per il ruolo che possono svolgere sia nel contribuire a una identificazione precoce del paziente, sia nel supportare il paziente stesso nel suo a volte lungo percorso terapeutico.
Dalle parole del Professor Paulli si comprende come la diagnosi e il trattamento dei linfomi cutanei a cellule T richieda competenze diversificate e di alto expertise, a indicare l’importanza della presa in carico dei pazienti in Centri dedicati, sia per ridurre i possibili ritardi diagnostici, già di per sé correlati alla rarità di questa patologia, sia per poter garantire al meglio tutte le opzioni terapeutiche oggi disponibili.
Inoltre il dialogo costante tra lo specialista, il paziente e i caregiver da una parte e la stretta collaborazione fra specialisti dall’altra, resta la chiave per vivere con maggior consapevolezza e serenità una patologia che nelle fasi inziali potrebbe presentare un decorso lento.
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