L'utilizzo di benzodiazepine per combattere ansia ed insonnia negli anziani può avere un effetto negativo sulle capacità cognitive e favorire, in caso di uso oltre i tre mesi,l'insorgenza di demenza ed Alzheimer
Disturbi d'ansia, ore di sonno notturne insufficienti o problemi ad addormentarsi, quanti anziani hanno simili problemi? Moltissimi, soprattutto quando si rimane vedovi, e la solitudine si fa sentire anche se i figli sono presenti e non fanno mancare il loro affetto. E spesso la soluzione proposta dai medici è nella somministrazione di benzodiazepine, i cosiddetti ansiolitici, per favorire il sonno e allentare l'ansia. Sappiamo bene come la somministrazione di tale categoria di farmaci sia diffusissima a livello mondiale (qualche cifra: una persona ogni 20 riceve prescrizione di benzodiazepine almeno una volta l'anno fra i 18 e gli 80 anni, ma salgono ad 1 ogni 10 le persone fra 65 e 80, soprattutto donne, e addirittura un terzo di queste ne fa uso continuativo per oltre 3,4 mesi. I dati sono allarmanti, soprattutto se si tiene conto che, a prescindere la dipendenza che le benzodiazeepine danno a qualunque età, nella terza età l'uso di questi farmaci può indurre un calo delle funzioni cognitive aumentando il rischio di insorgenza di demenza e malattia di Alzheimer. Lo ha dimostrato uno studio del National Institute of Mental Health che ha preso in esame l'uso di ansiolitici nella terza età e ha dimostrato che il rischio è addirittura raddoppiato per coloro che assumono benzodiazepine per oltre 180 giorni consecutivi. Senza contare che anche le capacità motorie vengono alterate, come pure la capacità di guidare e di mantenere l'equilibrio, con conseguente rischio cadute.