Il primo studio è stato eseguito da un’equipe di radiologi interventisti e oncologi del Policlinico Gemelli e mostra i risultati ottenuti combinando la chemioembolizzazione (trattamento di radiologia interventistica oncologica tramite cui è possibile somministrare farmaci chemioterapici direttamente all’interno del tumore garantendo una concentrazione superiore del farmaco) con un trattamento oncologico standard in pazienti affetti da tumore del colon-retto metatastico, con malattia prevalentemente epatica, dopo fallimento di almeno due linee di chemioterapia.
Ogni paziente ha effettuato due trattamenti di chemioembolizzazione intervallati tra loro da 4 settimane, in caso di malattia che interessava un unico lobo epatico (unilobare), o 4 trattamenti, intervallati tra loro da 2 settimane, in caso di malattia coinvolgente entrambi i lobi (bilobare).
I trattamenti di radiologia interventistica sono stati eseguiti per via percutanea (con un piccolo accesso mediante puntura di un’arteria attraverso la cute), mediante accesso all’inguine, in anestesia locale e senza necessità di esposizione chirurgica o anestesia generale. I trattamenti sono risultati sicuri, in assenza di complicanze tali da richiedere alcun trattamento medico/chirurgico aggiuntivo, con una rapida ripresa delle normali attività da parte dei pazienti e una degenza media di circa 2-3 giorni.
“Nel 60% dei casi – ha spiegato il dottor Roberto Iezzi – radiologo interventista dell’UOC di Radiologia d’Urgenza del Gemelli e promotore del meeting MIO-Live - la combinazione di questi due trattamenti ha mostrato un buon controllo della malattia, dato positivo se consideriamo che si trattava di pazienti con malattia avanzata (65% coinvolgente entrambi i lobi epatici) e pesantemente già trattati in maniera “standard” (il 50% dei pazienti arruolati era in progressione di malattia dopo più di 3 linee di chemioterapia standard)”.
Questi risultati si associano inoltre a un incremento dell’intervallo medio libero da malattia e soprattutto della sopravvivenza media ottenuta.
“Lo studio - conclude Iezzi, che ha condotto le ricerche - sembra confermare come la combinazione di più trattamenti e di più competenze mediche, sia in fase di selezione dei pazienti sia in fase di trattamento, rappresenta l’unica modalità per ottenere risultati migliori in termini di terapie mirate e selezionate per ciascun paziente. Tali trattamenti inoltre potrebbero anche essere utilizzati come terapie di controllo della malattia da eseguirsi tra due chemioterapie standard quando è elevato il rischio di tossicità epatica delle stesse. Tale approccio, che deve essere condiviso con l’oncologo, potrebbe consentire di interrompere in maniera sicura la chemioterapia e di riprenderla successivamente con un basso rischio di progressione incontrollata, salvaguardando la funzionalità del fegato”.
Il secondo studio mostra i risultati ottenuti unendo due procedure di radiologia interventistica, la termoablazione (trattamento che determina la necrosi dei tessuti tramite il calore) e la chemioembolizzazione, nella cura del carcinoma epatico. Nel lavoro viene infatti riportata una nuova opzione di trattamento delle lesioni tumorali epatiche ottenuta abbinando in un’unica seduta l’esecuzione della termoablazione con la procedura di chemioembolizzazione arteriosa, ossia di chemioterapia selettiva seguita dall’occlusione del vaso che vascolarizza la lesione tumorale. In particolare, il trattamento viene eseguito in un’unica seduta, in anestesia locale e con una minima sedazione, senza necessità di esposizione chirurgica degli organi o anestesia generale. In questa maniera viene incrementata l’area di necrosi creata dalla termoablazione e l’effetto chemioterapico mirato all’interno del fegato, proprio della chemioembolizzazione.
Fonte: Ufficio Stampa Policlinico Agostino Gemelli, Roma