Questo affascinante campo di ricerca, tuttavia, ha dato fin qui risultati contraddittori. Al momento, la traslazione alla clinica sembra più complicata di quanto si auspicava quando si è cominciato ad utilizzare cellule staminali o progenitrici per ricostruire il miocardio.
I principali ostacoli sono stati:
- il basso grado di attecchimento e il tasso di sopravvivenza delle cellule trapiantate nel microambiente del tessuto ospite;
- la mancanza di un numero sufficiente di cellule endogene con capacità rigenerative.
Riuscendo infatti a combinare cellule con materiali biocompatibili è possibile ricostruire l’organizzazione tridimensionale del tessuto, e quindi fornire alle cellule gli opportuni stimoli spaziali necessari per istruire un processo rigenerativo più completo.
Un recente Position Paper del Working Group dell’ESC, – di cui fa parte il Dr. Maurizio Pesce, Responsabile dell’Unità di ricerca di Ingegneria tissutale del Monzino – ha cercato di fornire a ricercatori di base e clinici indicazioni generali per ottimizzare il processo di ingegnerizzazione tissutale cardiaca. Più facile a farsi che a dirsi, ovviamente.
Il cuore, infatti, è un organo che si contrae e si rilascia in continuazione, nel quale struttura e funzione meccanica sono strettamente interconnesse. Dunque, il tentativo di ricostituire il tessuto miocardiaco deve fare i conti non soltanto con la biologia di base delle cellule che andranno a comporre quel tessuto, ma anche con diversi parametri biofisici e biomeccanici, quali la trasduzione di impulsi elettrici (ciò che serve al tessuto ricostituito per non generare aritmie) e il contesto meccanico delle cellule stesse, che non dovrà promuovere fibrosi. In altre parole, non basta rigenerare cellule contrattili, ma occorre anche studiare metodi per massimizzare l’integrazione delle cellule nel tessuto recipiente.
Da questo punto di vista, L’Unità di Ricerca di Ingegneria tissutale del Monzino, diretto da Maurizio Pesce, è impegnato su due fronti:
- mettere a punto combinazioni di cellule e materiali, utilizzando nuove tecnologie (per esempio una bio-printer che il laboratorio ha acquisito circa un anno fa) per studiare le interazioni tra le cellule miocardiache e strutture tridimensionali (scaffolds) con proprietà meccaniche definite per ottimizzare il delivery di cellule terapeutiche all’interno del miocardio;
- realizzare un sistema di coltura 3D (organoid disease modelling) che permetta di studiare la ‘meccano-sensazione’ delle cellule fibroblastiche cardiache allo scopo di limitarne la proliferazione nel miocardio soggetto a ageing, uno dei fattori di rischio non-modificabili più importanti nello scompenso cardiaco.
Fonte: Ufficio Stampa Centro Cardiologico Monzino