Il lavoro mantiene attivo il cervello
e può ritardare l'insorgenza di patologie neuro degenerative come l'Azheimer
Rimandare l’appuntamento con la pensione e mantenere il cervello occupato più a lungo si rivela un metodo efficace per allontanare le malattie neurodegenerative. La conferma arriva da una ricerca condotta dall’Istituto di Psichiatria del King’s College di Londra su 1320 pazienti affetti dal morbo di Alzheimer: quelli che avevano abbandonato più tardi l’attività lavorativa si sono ammalati molto dopo rispetto ai “baby pensionati”. I ricercatori hanno calcolato che rispetto alla media ogni anno di lavoro in più equivale a sei settimane di neuroni protetti dalle malattie.
La riserva cognitiva e il nostro patrimonio di sinapsi crescono nel corso del tempo, la nostra vita è sempre neurologicamente in divenire: chi usa il cervello, anche per lavorare, si mantiene quindi più giovane e attivo.
«Non dobbiamo “mandare in pensione” il nostro cervello», afferma il Prof. Piero Barbanti neurologo dell’IRCCS San Raffaele Pisana «per almeno 3 buoni motivi: di comportamento, di affettività e di cognitività. Per quanto riguarda il primo aspetto, si può dire che il lavoro è ritmo: il nostro cervello, come una macchina che non tiene il minimo e si spegne a un incrocio, va meglio quando è in funzione».
«Il secondo motivo –continua- è quello dell’affettività: il lavoro è in grado di incanalare lo stress e in parte di educarlo. Certo alcuni lavori lo provocano, ma lo stress di origine familiare, per esempio, può trovare nel lavoro una sua fisiologica estinzione. Il terzo aspetto è quello cognitivo: quando lavoriamo non solo competiamo positivamente con gli altri, ma dovremmo competere con noi stessi alzando volta per volta l’asticella delle prestazioni. E questo, cognitivamente, è sviluppo continuo».
«Certo tutto questo decade se il lavoro è fatto controvoglia o se è caratterizzato da rapporti personali pericolosi per la nostra salute psicologica. Ma», conclude Barbanti, «in senso stretto lavorare è neurologicamente un vero e proprio elisir».
Fonte: Ufficio Stampa IRCCS San Raffaele Pisana di Roma
La riserva cognitiva e il nostro patrimonio di sinapsi crescono nel corso del tempo, la nostra vita è sempre neurologicamente in divenire: chi usa il cervello, anche per lavorare, si mantiene quindi più giovane e attivo.
«Non dobbiamo “mandare in pensione” il nostro cervello», afferma il Prof. Piero Barbanti neurologo dell’IRCCS San Raffaele Pisana «per almeno 3 buoni motivi: di comportamento, di affettività e di cognitività. Per quanto riguarda il primo aspetto, si può dire che il lavoro è ritmo: il nostro cervello, come una macchina che non tiene il minimo e si spegne a un incrocio, va meglio quando è in funzione».
«Il secondo motivo –continua- è quello dell’affettività: il lavoro è in grado di incanalare lo stress e in parte di educarlo. Certo alcuni lavori lo provocano, ma lo stress di origine familiare, per esempio, può trovare nel lavoro una sua fisiologica estinzione. Il terzo aspetto è quello cognitivo: quando lavoriamo non solo competiamo positivamente con gli altri, ma dovremmo competere con noi stessi alzando volta per volta l’asticella delle prestazioni. E questo, cognitivamente, è sviluppo continuo».
«Certo tutto questo decade se il lavoro è fatto controvoglia o se è caratterizzato da rapporti personali pericolosi per la nostra salute psicologica. Ma», conclude Barbanti, «in senso stretto lavorare è neurologicamente un vero e proprio elisir».
Fonte: Ufficio Stampa IRCCS San Raffaele Pisana di Roma