Il valore della speranza e il ruolo delle relazioni nel percorso di malattia oncologica Cosa vuol dire avere speranza quando si combatte un tumore Quali sono le paure e i bisogni di chi soffre - Il valore terapeutico dell'ascolto e della presenza Don Tullio Proserpio, Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
Alla domanda "che cosa è la speranza" ognuno di noi risponderà in modo diverso a seconda della propria visione della vita, dello stato d'animo del momento, dell'esperienza accumulata e di tante altre variabili. Ma come cambia la percezione della speranza quando si affronta una malattia ed in particolar modo una malattia grave come il cancro? Se lo è chiesto Don Tullio Proserpio, una laurea in architettura e Cappellano dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano che ogni giorno si confronta con realtà complesse in cui le parole perdono il loro significato rigido e si trasformano, dando vita ad emozioni talvolta difficili da gestire. La fede può declinarsi in forme diverse, lo sguardo sul dopo di noi può appartenere anche a chi non è credente, e la spiritualità ritrova la sua vera natura una volta che ci si libera dalle inutili sovrastrutture quotidiane. E per capire meglio che valore, anche terapeutico, abbia la speranza per i pazienti oncologici, e che ruolo abbiano le relazioni con gli altri nel dare un senso al percorso di malattia e nel mettere in atto quello che viene definito coping e cioè la capacità di reagire positivamente ad un evento avverso, Don Tullio ha svolto, in collaborazione con medici, psicologi e statistici, lo studio “Hope in cancer patients: the relational domain as a crucial factor” coinvolgendo 320 pazienti dell’Istituto Nazionale dei Tumori, e che a breve sarà replicato a Huston onn Texas. Abbiamo incontrato Don Tullio all'Istituto e ci ha spiegato come dalla ricerca sia emerso netto il bisogno di ogni paziente di mantenere saldo il legame con la speranza, che chiaramente si modifica nelle varie fasi della malattia (dalla speranza di guarire in chi affronta il tumore per la prima volta alla speranza di non soffrire e di non essere lasciato solo in chi riceve una diagnosi di recidiva, alla speranza di avere ancora tempo per vedere crescere un nipote o di veder sposarsi un figlio in chi sa che la guarigione non è più un obiettivo possibile). E accanto alla speranza è emerso un altro bisogno fondamentale, ed è quello delle relazioni forti, con i propri cari, ma anche con i medici e gli infermieri, per creare un legame fatto di fiducia che permetta a chi è in difficoltà di non sentirsi solo nel percorso di cura. La spiritualità va oltre l'essere credenti o meno, la relazione che si crea con i malati e i loro familiari è fatta di ascolto, di silenzio, di rispetto e di accoglienza di sentimenti fra i più diversi, dalla rabbia alla negazione, dal dolore, alla fede. Don Tullio ci ha parlato anche di come si possa stare accanto a chi affronta eventi devastanti come la scomparsa prematura di un bambino e ci ha raccontato di come l'esperienza quotidiana in Istituto arricchisca reciprocamente operatori e pazienti, del suo essere sempre a fianco di chi soffre per far sì che quel dolore non sia vissuto in solitudine, come pure la speranza che risulta un valore aggiunto quando è condivisa e proiettata anche sugli altri.
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