Individuata dai ricercatori dello IEO una molecola coinvolta nell'angiogenesi tumorale (la crescita di neovasi che è alla base della diffusione metastatica e della crescita tumorale) - Allo studio nuovi farmaci antiangiogenesi a bersaglio mirato per bloccarne l'azione
E’
apparso sull’anteprima on-line del Journal of Clinical Investigation uno
studio coordinato da Ugo Cavallaro, ricercatore del programma di Medicina
Molecolare all’Istituto Europeo di Oncologia, che riapre, dopo anni di
silenzio, il capitolo dei farmaci antitumorali “anti-angiogenetici”, vale a
dire diretti a impedire la formazione di nuovi vasi sanguigni che alimentano il
tumore, favorendone la crescita: bloccare l’angiogenesi significa quindi
far morire il cancro di fame.
Il team di Cavallaro ha scoperto che L1, una molecola del sistema nervoso espressa anche sulla superficie endoteliale dei vasi delle cellule tumorali, può essere un nuovo bersaglio per farmaci anticancro. «I nostri risultati dimostrano che non solo questa molecola è presente in modo abbondante e specifico nei vasi sanguigni tumorali, mentre è quasi assente in quelli normali – spiega Cavallaro - ma anche che rappresenta un potenziale target terapeutico nel contesto di trattamenti diretti ai vasi stessi. L'inattivazione di L1 attraverso anticorpi o altri approcci, infatti, rallenta sensibilmente la crescita tumorale, ne riduce la vascolarizzazione e induce la "normalizzazione" dei vasi tumorali, rendendoli più simili a quelli normali. In particolare, le modifiche strutturali e funzionali che avvengono nel corso della normalizzazione vascolare migliorano il flusso sanguigno all’interno del tumore. Anche se dal punto di vista terapeutico l’idea di rendere più funzionale la rete vascolare di un tumore può sembrare paradossale (in quanto aumenta l’apporto di ossigeno e nutrienti alle cellule cancerose), in realtà questo approccio potrebbe risolvere un problema molto comune nell’ambito delle chemioterapie convenzionali, ovvero la scarsa penetrazione dei farmaci in tutte le aree del tessuto neoplastico. L’inattivazione di L1 avrebbe così un doppio effetto: il blocco della vascolarizzazione e il potenziamento della chemioterapia o di altri trattamenti anti-tumorali».
Bersagliare L1 vascolare andrebbe ad aggiungersi alle poche terapie tumorali anti-angiogeniche al momento disponibili, come il Bevacizumab (o Avastin) utilizzato contro il tumore del colon e dell’ovaio, che sono in gran parte basate sull’inibizione del fattore di crescita vascolare VEGF (Vascular Endotelial Growth Factor) e stanno evidenziando alcune limitazioni cliniche. Questa classe di farmaci è comunque importante perché ha modificato l’atteggiamento di ricerca molecolare, mostrando che ci sono nuove vie in alternativa al bersagliamento diretto del gene alterato nelle cellule cancerose e responsabile del processo di formazione del tumore.
«L’identificazione di un bersaglio diverso da VEGF riaccende speranze concrete in un’area che, dopo gli entusiasmi iniziali legati agli studi di Judah Folkman negli anni ‘70, sembrava quasi dimenticata», continua Cavallaro - «La scoperta delle caratteristiche di L1 comporta almeno tre aspetti interessanti per il futuro della ricerca oncologica. Il primo è la conferma che cambiare strategia e bersagliare l’ambiente tumorale invece che il tumore (o bersagliarli entrambi) può essere un approccio vincente. ll secondo è che abbiamo trovato un nuovo target “ambientale”, in alternativa al VEGF, e dunque un potenziale nuovo farmaco anti-angiogenetico. Il terzo è che, essendo questo nuovo bersaglio localizzato sulla superficie esterna delle cellule endoteliali, possiamo pensare di usarlo come “punto di attracco” per altre sostanze terapeutiche come isotopi radioattivi o anticorpi».
Al momento i risultati sono stati ottenuti nel modello animale. Le prossime fasi della ricerca prevedono il passaggio all’avatar – cioè in tumori umani che crescono nell’animale - e poi all’uomo, dove l’intenzione è di sperimentare anticorpi che bloccano L1.
Fonte: Ufficio Stampa IEO
Il team di Cavallaro ha scoperto che L1, una molecola del sistema nervoso espressa anche sulla superficie endoteliale dei vasi delle cellule tumorali, può essere un nuovo bersaglio per farmaci anticancro. «I nostri risultati dimostrano che non solo questa molecola è presente in modo abbondante e specifico nei vasi sanguigni tumorali, mentre è quasi assente in quelli normali – spiega Cavallaro - ma anche che rappresenta un potenziale target terapeutico nel contesto di trattamenti diretti ai vasi stessi. L'inattivazione di L1 attraverso anticorpi o altri approcci, infatti, rallenta sensibilmente la crescita tumorale, ne riduce la vascolarizzazione e induce la "normalizzazione" dei vasi tumorali, rendendoli più simili a quelli normali. In particolare, le modifiche strutturali e funzionali che avvengono nel corso della normalizzazione vascolare migliorano il flusso sanguigno all’interno del tumore. Anche se dal punto di vista terapeutico l’idea di rendere più funzionale la rete vascolare di un tumore può sembrare paradossale (in quanto aumenta l’apporto di ossigeno e nutrienti alle cellule cancerose), in realtà questo approccio potrebbe risolvere un problema molto comune nell’ambito delle chemioterapie convenzionali, ovvero la scarsa penetrazione dei farmaci in tutte le aree del tessuto neoplastico. L’inattivazione di L1 avrebbe così un doppio effetto: il blocco della vascolarizzazione e il potenziamento della chemioterapia o di altri trattamenti anti-tumorali».
Bersagliare L1 vascolare andrebbe ad aggiungersi alle poche terapie tumorali anti-angiogeniche al momento disponibili, come il Bevacizumab (o Avastin) utilizzato contro il tumore del colon e dell’ovaio, che sono in gran parte basate sull’inibizione del fattore di crescita vascolare VEGF (Vascular Endotelial Growth Factor) e stanno evidenziando alcune limitazioni cliniche. Questa classe di farmaci è comunque importante perché ha modificato l’atteggiamento di ricerca molecolare, mostrando che ci sono nuove vie in alternativa al bersagliamento diretto del gene alterato nelle cellule cancerose e responsabile del processo di formazione del tumore.
«L’identificazione di un bersaglio diverso da VEGF riaccende speranze concrete in un’area che, dopo gli entusiasmi iniziali legati agli studi di Judah Folkman negli anni ‘70, sembrava quasi dimenticata», continua Cavallaro - «La scoperta delle caratteristiche di L1 comporta almeno tre aspetti interessanti per il futuro della ricerca oncologica. Il primo è la conferma che cambiare strategia e bersagliare l’ambiente tumorale invece che il tumore (o bersagliarli entrambi) può essere un approccio vincente. ll secondo è che abbiamo trovato un nuovo target “ambientale”, in alternativa al VEGF, e dunque un potenziale nuovo farmaco anti-angiogenetico. Il terzo è che, essendo questo nuovo bersaglio localizzato sulla superficie esterna delle cellule endoteliali, possiamo pensare di usarlo come “punto di attracco” per altre sostanze terapeutiche come isotopi radioattivi o anticorpi».
Al momento i risultati sono stati ottenuti nel modello animale. Le prossime fasi della ricerca prevedono il passaggio all’avatar – cioè in tumori umani che crescono nell’animale - e poi all’uomo, dove l’intenzione è di sperimentare anticorpi che bloccano L1.
Fonte: Ufficio Stampa IEO