Personalità Malinconica Torna a Caratteri, Personalità e Mondo dell'Arte

Personalità Malinconica: La parola malinconia ha un'origine antichissima, dal greco mélas, mèlanos che vuol dire nero e cholè, cioè bile, la famosa bile nera che insieme alla bile gialla, al flegma e all'umore rosso (il sangue) rappresentavano i quattro umori e quindi i caratteri universali dell'uomo e che fin dai tempi dalla medicina ippocratica veniva identificata con una persona debole, pallida, ripiegata su se stessa. La teoria degli umori nei secoli ha cercato di dare interpretazione non solo delle personalità ma anche delle malattie che avrebbero origine nel mancato equilibrio degli umori (definito discrasia in antitesi con la eucrasia che rappresentava invece un perfetto equilibrio dei vari umori che garantiva la salute). Uno stato d'animo malinconico è facilmente identificabile con un atteggiamento intimistico, sintesi di tristezza pacata e desiderio di solitudine, di sentimenti sfocati e aneliti profondi. Due definizioni semplici e tuttavia complesse ci aiutano a meglio comprendere la malinconia e sono la prima di Italo Calvino che dice "La melanconia è la tristezza diventata leggera..." e la seconda è di Victor Hugo che considera "La malinconia è la felicità
di essere triste...". Ma la rappresentazione più famosa della malinconia si deve sicuramente a Charles Baudelaire che nella sua poesia "Spleen" del 1857 (parola inglese che significa milza, quindi bile ed eccoci tornare all'origine della parola malinconia) descrive con pienezza i tanti affluenti del cuore che compongono la malinconia, quel senso di vuoto e di distacco, quell'angoscia profonda che niente può scacciare. Il climax delle quartine iniziali sale fino alla congiunzione dell'ultima quartina, quella "e" in cui si sublima tutto il peso dell'esistenza, in cui le tenebre dell'angoscia vincono la speranza...
"Spleen"
Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio
Sullo spirito che geme in preda a lunghi affanni,
E versa abbracciando l'intero giro dell'orizzonte
Una luce diurna più triste della notte;
Quando la terra è trasformata in umida prigione,
Dove come un pipistrello la Speranza
Batte contro i muri con la sua timida ala
Picchiando la testa sui soffitti marcescenti;
Quando la pioggia distendendo le sue immense strisce
Imita le sbarre di un grande carcere
Ed un popolo muto di infami ragni
Tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli,
Improvvisamente delle campane sbattono con furia
E lanciano verso il cielo un urlo orrendo
Simili a spiriti vaganti senza patria
Che si mettono a gemere ostinati
E lunghi trasporti funebri senza tamburi, senza bande
Sfilano lentamente nella mia anima vinta; la Speranza
Piange e l'atroce angoscia dispotica
Pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo
E se le parole di Baudelaire fermano sul foglio quell'inafferrabile senso di angoscia del vivere che tanta parte avrà nella letteratura psicanalitica degli anni a venire c'è un'altra rappresentazione fondamentale per comprendere la malinconia, ed è quella regalataci da Durer nel suo quadro "Melancolia", del 1514.
"Spleen"
Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio
Sullo spirito che geme in preda a lunghi affanni,
E versa abbracciando l'intero giro dell'orizzonte
Una luce diurna più triste della notte;
Quando la terra è trasformata in umida prigione,
Dove come un pipistrello la Speranza
Batte contro i muri con la sua timida ala
Picchiando la testa sui soffitti marcescenti;
Quando la pioggia distendendo le sue immense strisce
Imita le sbarre di un grande carcere
Ed un popolo muto di infami ragni
Tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli,
Improvvisamente delle campane sbattono con furia
E lanciano verso il cielo un urlo orrendo
Simili a spiriti vaganti senza patria
Che si mettono a gemere ostinati
E lunghi trasporti funebri senza tamburi, senza bande
Sfilano lentamente nella mia anima vinta; la Speranza
Piange e l'atroce angoscia dispotica
Pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo
E se le parole di Baudelaire fermano sul foglio quell'inafferrabile senso di angoscia del vivere che tanta parte avrà nella letteratura psicanalitica degli anni a venire c'è un'altra rappresentazione fondamentale per comprendere la malinconia, ed è quella regalataci da Durer nel suo quadro "Melancolia", del 1514.
La figura alata, pensierosa e circondata da oggetti legati al mondo alchemico, ha un atteggiamento riflessivo, quasi assorto e distaccato dal contesto. Le interpretazioni più varie hanno nel tempo accompagnato il dipinto di Durer, che usa simboli alchemici - ricordiamo che il mondo dell'alchimia era dominato da Saturno nella iconografia classica e legato al sentimento della malinconia - a ricordare la difficoltà dell'alchimista a tramutare il piombo in oro - e più in generale la difficoltà dell'uomo di elevarsi al di sopra della miseria e della componente materica dell'esistenza. Tra i simboli più significativi sicuramente l'arcobaleno e la cometa, simbolici malinconici dell'epoca e le chiavi appese alla cintura che sono chiaramente lo strumento che "apre" le porte della conoscenza. Un discorso a parte merita il Quadrato Magico sopra la testa del protagonista, in cui la somma delle righe orizzontali, verticali, dei quattro numeri centrali, dei quadrati esterni e dei quattro settori dà sempre 34 e che nell'ultima riga porta incisa la data in cui Durer compì l'opera, il 1514.
E per completare l'excursus sulla malinconia arriviamo alla forma espressiva più moderna, e cioè il cinema, che ha rappresentato la malinconia in varie forme, dando modo ad alcuni autori di mettere in scena personaggi che fanno della malinconia un'arte. tra i tanti ricordiamo il Dottor Borg de "Il posto delle fragole" di Ingmar Bergman, il manipolo di soldati de "Il Deserto dei tartari" di Valerio Zurlini, e il pianeta Melancholia che nel film omonimo di Lars Von Trier minaccia di distruggere la terra. Ma è con una frase tratta da "Ovosodo" di Parlo Virzì che chiudiamo la nostra riflessione sulla malinconia, una riflessione che appartiene un po' a tutti: "Dice che la malinconia non è altro che una forte presenza nel cervello di un neurotrasmettitore che si chiama serotonina. E succede che si ciondola come foglie morte e un pò ci si affeziona a questo strazio e non si vorrebbe guarire più."
E per completare l'excursus sulla malinconia arriviamo alla forma espressiva più moderna, e cioè il cinema, che ha rappresentato la malinconia in varie forme, dando modo ad alcuni autori di mettere in scena personaggi che fanno della malinconia un'arte. tra i tanti ricordiamo il Dottor Borg de "Il posto delle fragole" di Ingmar Bergman, il manipolo di soldati de "Il Deserto dei tartari" di Valerio Zurlini, e il pianeta Melancholia che nel film omonimo di Lars Von Trier minaccia di distruggere la terra. Ma è con una frase tratta da "Ovosodo" di Parlo Virzì che chiudiamo la nostra riflessione sulla malinconia, una riflessione che appartiene un po' a tutti: "Dice che la malinconia non è altro che una forte presenza nel cervello di un neurotrasmettitore che si chiama serotonina. E succede che si ciondola come foglie morte e un pò ci si affeziona a questo strazio e non si vorrebbe guarire più."