Prof. Alessandro Stefani
"Cervelli da Buttare - Un viaggio nelle malattie neurodegenerative
Malattie come l'Alzheimer o il Parkinson come cambiano le dinamiche familiari
Come gestire emotivamente il declino cognitivo senza perdere la socialità e l'affettività
Le cure per controllare i sintomi e rallentare l'evoluzione della malattia
Le malattie neurodegenerative come alcune forme di parkinsonismo o la Malattia di Alzheimer o altre demenze, che prevedono anche un progressivo declino cognitivo di chi ne è colpito, coinvolgono non solo il paziente ma anche tutta la sua famiglia che col passare del tempo deve imparare una nuova modalità di espressione emotiva nei confronti di chi sta perdendo tutte le sue certezze. Le dinamiche familiari cambiano, i bisogni aumentano e il rapporto con il medico non può limitarsi alla valutazione attraverso test della funzione cognitiva residua o di altri parametri biologici ma deve estendersi alla cura del disagio psicologico, della crescente difficoltà di gestire i deficit cognitivi (stimolare o adeguarsi ai limiti?) per far sì che nel lungo percorso di malattia ci sia comunque spazio per la socialità e per l'affettività. E proprio di questi temi si occupa il Prof. Alessandro Stefani nel suo libro "Cervelli da buttare - Un viaggio nelle malattie neurodegenrative" attraverso quattro storie esemplari di famiglie colpite dalla malattia, famiglie che hanno creato con il loro medico (il Prof. Stefani è Responsabile del Centro Parkinson del Policlinico Tor Vergata di Roma) un rapporto di fiducia che li ha accompagnato nel progredire della malattia ma anche nella quotidianità perchè, anche se ancora oggi non sono disponibili farmaci in grado di guarire dalle malattie neurodegenerative, esistono però terapie in grado di rallentare l'evoluzione della malattia e di controllare i sintomi come ci spiega il Professor Stefani nel nostro incontro e soprattutto esistono tutte quelle tecniche alternative che possono andare dall'attività fisica all'input sensoriale alla terapia occupazionale che messe tutte insieme realizzano un training per aiutare la plasticità cerebrale residua. Senza mai dimenticare l'importanza di evitare l'isolamento in cui spesso un paziente tende a chiudersi perchè il contatto con gli altri, la socialità e l'affettività sono la rete emotiva indispensabile per affrontare ogni giorno malattie del genere.
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