La FIL è nata in Italia negli anni “caldi” delle scoperte “industriali” che hanno portato alle citate nuove possibilità terapeutiche. I ricercatori che hanno dato vita alla FIL si sono posti l’obiettivo di attivare ricerche innovative in Italia e di farlo coinvolgendo il maggior numero di centri ematologici senza distinzioni geografiche con lo scopo di innalzare il livello di qualità della ricerca sui linfomi e abbattere il cosiddetto fenomeno della “migrazione sanitaria”. Obiettivi importantissimi, ribaditi anche da Michele Spina, vice presidente della FIL (di cui assumerà la carica di presidente dal 1 gennaio 2018): “Realizzare progetti di ricerca per fornire al maggior numero di pazienti farmaci innovativi – ha spiegato - ma anche scegliere tra le cure attualmente a disposizione quelle migliori e appropriate, far capire quando un farmaco non funziona o produce effetti collaterali tardivi (cardiotossicità, problemi di fertilità, secondi tumori)”. Fondamentale per Spina, parlare di appropriatezza delle cure “che - ha spiegato – è l’insieme di tutti quegli interventi che possano produrre la risposta migliore per quel singolo paziente, coniugando competenze tecniche e scientifiche, adeguata informazione del paziente e il suo coinvolgimento nelle decisioni terapeutiche, le risorse necessarie alla realizzazione della prestazione con standard sufficientemente elevato considerato l’attuale contesto sociale, culturale ed economico”.
Ma non solo ricerca scientifica. Tra le finalità di FIL, anche e soprattutto massima attenzione nei confronti dei pazienti ricaduti o in progressione e della qualità di vita dei pazienti lungo-sopravviventi, avvicinare la ricerca alle persone, far comprendere l’importanza degli studi clinici e cosa implica per un paziente parteciparvi, anche grazie all’aiuto di quanti contribuiscono alla ricerca attraverso le donazioni per progetti come “Destinazione giusta cura”, “che – come spiegato dal dottor Marco Ladetto, Presidente della Commissione Studi Biologici della FIL - mira ad aiutare i medici a prendere la giusta direzione attraverso strumenti e tecniche diagnostiche sempre più precise come l'esame della Malattia Minima Residua (MRD) e la PET un’apparecchiatura di medicina nucleare utilizzata per la produzione di immagini del corpo e la localizzazione dei tumori”. La FIL centralizza presso 4 laboratori specializzati del FIL MRD Network (Torino, Pisa, Roma e Aviano) i campioni biologici necessari alle analisi della MRD dei pazienti inclusi nei protocolli clinici della Fondazione. “I dati sulla MRD – ha spiegato Ladetto - permettono di valutare la durata della risposta alla terapia e in alcuni casi utilizzati negli studi clinici in “tempo reale” per indirizzare i pazienti a cure differenti, “personalizzate” sul profilo di rischio di recidiva”. Nel solo biennio 2015-2016 sono stati centralizzati 530 campioni biologici di pazienti arruolati in studi clinici FIL. Allo stesso modo anche per alcuni tipi di linfoma, come l’Hodgkin (un linfoma che colpisce soggetti di tutte le età ma in particolare giovani tra i 15 e i 35 anni o gli adulti oltre i 50 anni), l’esame PET si rivela molto utile. La FIL ha inserito in alcuni studi clinici la revisione centralizzata delle PET (valutazione degli esami da parte di un panello di esperti) per indirizzare i pazienti a terapie adattate sulla base della risposta alla PET.
E di studi clinici ha parlato il dottor Giuseppe Rossi, direttore della struttura complessa di Ematologia e dipartimento oncologia clinica degli Ospedali Civili di Brescia, il quale ha evidenziato la loro importanza, fondamentali non solo per trovare nuove terapie, ma anche per migliorare le terapie standard e le tecniche diagnostiche, trovare nuovi criteri prognostici e tecniche per personalizzare le terapie e accrescere la pratica clinica senza nessun aggravio per il servizio sanitario nazionale.
Interessante l’intervento di Giuseppe Gioffrè di UDINE, uno dei rappresentanti del “gruppo pazienti linfomi” AIL-FIL, che ha raccontato i disagi e le emozioni che ha vissuto e provato dal momento in cui ha scoperto di avere un linfoma, in avanti. L’esigenza di “capire” cosa stava accadendo e gli step successivi per se stesso e la propria famiglia, non solo dal punto di vista “materiale” o fisico ma soprattutto psicologico. “Tanti gli interrogativi che in un momento di disperazione sorgono – ha detto Gioffrè - e che senza un adeguato supporto, diventano macigni difficili da sopportare”. “Gli studi clinici non sono come spesso si pensa un “esperimento” – ha concluso - noi pazienti non siamo “cavie” ma al contrario veniamo tutelati da ogni punto di vista”.
Il dottor Umberto Vitolo, Direttore della Sezione di Ematologia dell’Azienda Ospedaliera della Città della salute e della Scienza di Torino, primo presidente FIL, ha ripercorso le tappe fondamentali della Fondazione, ricordando che è stata la naturale evoluzione dell’Intergruppo Italiano Linfomi (IIL), che è sorto nel 1993 con una prima riunione svoltasi a Firenze come gruppo di cooperazione spontanea tra clinici e ricercatori italiani impegnati nello studio e nella terapia dei linfomi. La trasformazione avvenuta con la nascita della FIL nel 2010, ebbe lo scopo di far collaborare gruppi attivi nello studio e nella cura dei linfomi con maggior omogeneità e capillarità sul territorio nazionale. Dalla sua nascita ad oggi la FIL ha condotto o collaborato alla conduzione di circa 50 studi clinici che hanno coinvolto in media 1000 pazienti all’anno. Conta oggi 151 centri distribuiti su tutto il territorio nazionale, 11 Commissioni Scientifiche multidisciplinari e nel dettaglio 747 soci tra medici, biologi e professionisti della ricerca per ideare nuovi protocolli di ricerca e attivarli in tutto il territorio nazionale.
Fonte: Ufficio Stampa BLITZ Comunicazione