
Quando si parla di linfomi è importante sottolineare che si tratta di una patologia complessa e molto variegata, che può colpire numerosi organi e apparati, e che in base alla sede o allo stadio di malattia, richiede un trattamento mirato e personalizzato.
Oggi vogliamo conoscere meglio il Linfoma Cutaneo a Cellule T e conoscere il percorso del paziente con lo specialista di riferimento, il dermatologo, che spesso è il primo medico a cui il paziente si rivolge in cerca di risposte, e che diventa il direttore d’orchestra di una gestione multidisciplinare e multimodale per una patologia che spesso per i sintomi aspecifici che presenta e per la sua variabilità di presentazione può avere un ritardo diagnostico estremante importante.
Il Linfoma Cutaneo a Cellule T (CTCL)
Il CTCL appartiene alla più ampia categoria dei linfomi non Hodgkin (NHL), ovvero dei tumori maligni che colpiscono i linfonodi e il sistema linfatico.
La forma più comune di linfoma cutaneo a cellule T è la micosi fungoide (una forma di CTCL indolente) mentre la più rara prende il nome di Sindrome di Sézary (una forma di CTCL aggressivo).
Il trattamento del linfoma cutaneo a cellule T è molto personalizzato, viene regolato in rapporto alla tolleranza ed alla risposta del paziente. Sono diversi e numerosi i fattori che influenzano la scelta della terapia più idonea (la tipologia ed estensione di lesioni cutanee, il coinvolgimento dei linfonodi, la forma di CTCL, ecc.) ma il più determinante è rappresentato dallo stadio clinico della malattia. In base a tali parametri, viene stabilito il ricorso a una terapia cutanea oppure sistemica, quest'ultima basata su farmaci e trattamenti specifici. Per i pazienti con malattia ad alto rischio, inoltre, può rendersi necessario il ricorso al trapianto allogenico di cellule staminali del sangue.
Ad oggi nei pazienti che regrediscono l’obiettivo non è solo la remissione, ma anche ottenere una risposta stabile nel tempo.
In Italia non vi sono dati epidemiologici certi, il principale problema che si riscontra con queste patologie è che spesso le manifestazioni cliniche e istopatologiche possono essere aspecifiche, rendendo quindi complessa la diagnosi. Il tempo mediano, infatti, dall’insorgenza dei sintomi alla diagnosi, è di circa 3-4 anni arrivando in certi casi anche a superare i 40 anni.
La malattia allo stadio iniziale presenta chiazze o placche su una superficie cutanea limitata, in numerosi pazienti di solito non c’è una progressione ma in un terzo dei casi la malattia assume un decorso progressivo producendo lesioni cutanee che iniziano a espandersi ed a evolversi.
Proprio per questo motivo, come dicevamo, è frequente che sia proprio il dermatologo la prima figura a riscontrare l’insorgere di questa rara patologia. È fondamentale, infatti, un lavoro multidisciplinare tra dermatologo, patologo ed ematologo nella diagnosi e cura dei pazienti.
Ne abbiamo parlato con il Professore Marco Ardigò, Professore Dermatologia Humanitas University per conoscere meglio la patologia e per tracciare con lui un quadro attuale dello scenario terapeutico.
1. In che modo il CTCL influisce sulla qualità di vita dei pazienti e quali sono i principali aspetti nella loro vita quotidiana che possono essere compromessi dalla malattia?
Quando si parla di linfomi cutanei a cellule T ci si riferisce in modo particolare alla micosi fungoide che è il più frequente, rappresenta infatti intorno al 60% di tutti i linfomi della serie T cutanei. Esistono poi delle forme più rare e a volte più aggressive come la sindrome di Sézary con andamento clinico più aggressivo. La micosi fugoide, nello specifico, è una patologia estremamente peculiare perché pur essendo una malattia neoplastica che origina dai linfociti T nasce come condizione tendenzialmente cronica, difatti più del 70% dei pazienti ha un andamento lento ed “indolente”.
Il paziente affetto da micosi fungoide vive anche per decadi della sua vita accompagnato da questa condizione clinica per cui deve essere sottoposto a dei controlli periodici, da terapie continue intervallate da momenti di remissione di durata variabile e da recidive a volte improvvise ed imprevedibili. La malattia si associa al prurito, a delle lesioni cutanee anche molto evidenti che vanno dalle chiazze fino alla comparsa di noduli cutanei che hanno un severo impatto sulla vita quotidiana del paziente e soprattutto sulla vita di relazione. Da un lato il paziente è gravato dal peso psicologico di essere affetto da malattia oncologica e dall'altro presenta delle lesioni persistenti e caratterizzate da una sintomatologia molto fastidiosa. L’ impegno di rivolgersi frequentemente allo specialista dermatologo, o ematologo nelle fasi più avanzate della malattia, per controlli e terapie impatta sulla vita dei pazienti obbligati a recarsi frequentemente in ospedale distogliendosi quindi dalla vita professionale e dalla partecipazione alle attività sociali.
2. Qual è l'importanza di una presa in carico multidisciplinare nel trattamento dei pazienti con CTCL e quali figure sono maggiormente coinvolte all’interno del team multidisciplinare?
Non in tutti i centri che si occupano di linfomi cutanei purtroppo esiste un team multidisciplinare dedicato alla diagnosi e cura dei CTCL sia perché richiede la convergenza di medici di diverse specialità con un alto grado di conoscenza della malattia, sia perché i CTCL sono patologie neglette, e la micosi fungoide, pur non essendo elencata tra le malattie rare è comunque una malattia a bassa incidenza. Nel gruppo multidisciplinare devono necessariamente entrare a far parte: il dermatologo che generalmente è il medico che fa la prima diagnosi, l'ematologo che ha l'expertise nella gestione dei pazienti, soprattutto nelle fasi più avanzate di malattia, il radioterapista e il patologo e tutte altre figure sanitarie impegnate nella diagnosi e cura della micosi fungoide. Tutti gli specialisti concorrono alla diagnosi e alla scelta terapeutica dei pazienti.
3. Come il CTCL può influenzare aspetti psicologici ed emotivi dei pazienti, delle loro famiglie e quali strategie possono essere adottate per affrontare tali impatti?
L'impatto psicologico per i pazienti affetti da micosi fungoide è prevalentemente legato all'idea di avere una malattia neoplastica, cronica e tendenzialmente non guaribile; i pazienti arrivano alla prima diagnosi di CTCL con la profonda preoccupazione di avere una malattia grave e poco conosciuta. Anche se la micosi fungoide, in una percentuale elevata di pazienti quantificabile in ben più del 70/75% dei casi ha un andamento indolente, è comunque una malattia oncologica che può ridurre la durata della vita anche in modo drammatico. In molti pazienti si caratterizza quindi da un andamento che non porta a severe complicazioni rimanendo confinata agli stadi iniziali. Per il paziente, però, rimane viva la preoccupazione costante di poter vedere la propria condizione evolvere in una patologia sempre più grave e con compromissione della qualità della vita e con necessità di terapie sempre più invasive. Questo, ovviamente, influenza anche tutta la sfera familiare e nelle forme più evolutive della malattia l'intervento dei familiari diventa necessario anche per la somministrazione di medicazioni rivolte alla cura di lesioni essudanti, in placca, escoriate e pruriginose fino alla comparsa di noduli che possono ulcerarsi e sanguinare spontaneamente. Diciamo quindi che, se da un lato c'è un coinvolgimento in termini di impegno assistenziale e psicologico di tutta la famiglia, dall'altro c'è necessità di un costante intervento e condivisione della famiglia (che svolge l’importante ruolo del caregiver) nell'accompagnare il paziente, spesso anziano, in questo continuum di andare e tornare dagli ospedali per le viste, per i controlli e le terapie.
Credo che la presa in carico dei pazienti non possa prescindere dal coinvolgimento dei caregiver ai quali il medico deve dedicare tempo per spiegare in modo dettagliato e chiaro il significato della condizione che affligge il familiare e la necessità di una partecipazione alla gestione e cure del malato.
La difficoltà principale nella relazione medico-paziente è insita nell’impossibilità di prevedere in quali pazienti si verificherà l’evoluzione della malattia verso una malattia più severa; quello che invece deve essere trasmesso ai pazienti è l’utilità di imparare a vivere con la propria malattia giorno per giorno, godere dei momenti di miglioramento clinico e di remissione dei sintomi e cercare di guardare positivamente al futuro che offre sempre nuove opzioni terapeutiche.
La micosi fungoide (MF) è una malattia che può essere paragonata ad altre malattie croniche come il diabete e quindi seguire il paziente anche dal punto di vista psicologico in questo percorso di accettazione di una malattia cronica è un punto importante.
4. In che modo l'educazione e la consapevolezza sul CTCL possono migliorare la qualità di vita dei pazienti?
Dedicare del tempo al paziente spiegando i dettagli relativi alla sua condizione è parte della terapia, come pure il tempo dedicato alla descrizione dell'utilizzo delle terapie dermatologiche e delle medicazioni è fondamentale per aumentare l’aderenza del paziente ai trattamenti. Va considerato che molte delle terapie che si utilizzano nella micosi fungoide nelle fasi iniziali sono infatti delle terapie dirette alla cute (skin direct therapy) di conseguenza spiegare bene al paziente il significato delle terapie e come devono essere applicate o ricevute è fondamentale per una buona riuscita terapeutica. Prendersi cura della propria pelle diventa un momento molto importante per il paziente affetto da linfoma cutaneo, come anche è fondamentale spiegare bene al paziente come riconoscere i segni relativi alla sua malattia sottolineando sempre come le lesioni cutanee possono migliorare esprimendo un miglioramento della malattia al fine di favorire un atteggiamento mentale positivo nei pazienti. Dare dei messaggi positivi a questa tipologia di malati è particolarmente importante; la micosi fungoide, pur essendo una malattia neoplastica linfoproliferativa a coinvolgimento della cute e con potenziale evoluzione sistemica può beneficiare di terapie che ne limitano l’estensione ad altri organi.
5. Quale legame si crea con la persona che soffre di CTCL? Quanto è importante anche essere vicino a pazienti che soffrono in maniera intensa nel corso della loro vita?
Il coinvolgimento empatico è una cosa che i medici un po’ temono, però quando i pazienti vengono seguiti da uno stesso specialista per decenni si crea inevitabilmente un rapporto personale. Ho avuto in cura pazienti per vent'anni instaurando un profondo rapporto di fiducia con il vantaggio di riuscire a garantire al paziente la sicurezza di una presa in cura sincera e dedicata. Portare il rapporto medico-paziente su un piano personale non è semplice e richiede una adeguata gestione sia dal punto emotivo che professionale, ma un approccio empatico è un qualcosa che probabilmente dovrebbe entrare a far parte delle “doti” dei medici che si occupano di CTCL. I medici che si occupano di questa tipologia di malattia hanno chiaro come la terapia funzioni meglio se il paziente è assistito anche da un punto di vista emozionale oltre che mediante le ultime e più avanzate terapie. Insegnare ai medici di domani l’importanza di un coinvolgimento emotivo con questi pazienti rappresenta un obiettivo per chi forma medici dedicati ai CTCL; la medicina di domani sarà sempre meno dedicata alla “prescrizione”, sarà forse l'intelligenza artificiale a scegliere per noi i giusti percorsi per i pazienti, ma sarà sempre di più fondata su un rapporto personale/professionale fra medico e paziente.
Come abbiamo capito dalle parole del Prof. Ardigò il Linfoma Cutaneo a Cellule T è una patologia complessa, multiforme con un andamento estremamente variabile ed è importante riconoscerla tempestivamente, essere seguiti in un centro dedicato dove le competenze siano a 360° e poter utilizzare tempestivamente le terapie disponibili con l’obiettivo di tenere sotto controllo la malattia nel tempo. Del resto, il concetto di cronicità sta entrando sempre più nell’ecosistema dell’onco-ematologia e l’alleanza terapeutica, come pure il dialogo costante specialista paziente caregiver può essere la chiave per vivere con maggior consapevolezza e serenità una patologia che nella maggior parte dei casi ha un andamento benigno e una evoluzione estremamente lenta nel tempo.