
I risultati dello studio, nato da quel primo colloquio a Boston, sono stati pubblicati ora da "Science Translational Medicine" e hanno dimostrato l’effettiva capacità delle “resolvine” di ristabilire un corretto equilibrio del sistema immunitario in modelli di laboratorio. “Ora stiamo iniziando a replicare gli esperimenti su campioni ematici di pazienti affetti da sclerosi multipla – spiega il dottor Chiurchiù – Se registreremo analoghi risultati, saremo in grado di proseguire con studi che, dalla fase uno in laboratorio fino alla fase tre su soggetti umani, potrebbero condurre in tre anni allo sviluppo di un nuovo protocollo terapeutico”.
Il trattamento di sclerosi multipla, artrite reumatoide, lupus eritematoso e più in generale di malattie provocate da stati infiammatori cronici e disfunzioni del sistema immunitario potrebbero giovare degli effetti delle “resolvine”. “I risultati ottenuti – commenta il Professor Serhan, Direttore del Centro di Terapie Sperimentali all’Università di Harvard – permetteranno ora a noi e ad altri ricercatori di tradurre i risultati degli studi con mediatori lipidici della risoluzione dell’infiammazione (pro-resolving mediators) in nuovi trattamenti e nuove strategie terapeutiche."
Ma come si esplica esattamente l’azione delle resolvine sul sistema immunitario? “Nelle infiammazioni che non si risolvono o che risultano incontrollate e sono alla base di tutte le più comuni malattie infiammatorie croniche o autoimmuni – spiega il dottor Chiurchiù – il problema principale è dato dai linfociti. Si verifica infatti un’alterazione dell’equilibrio tra i linfociti chiamati a distruggere le cellule estranee all’organismo, come ad esempio i Th1 e i Th17, e i linfociti regolatori “Treg” che inibiscono l’azione dei primi alla fine dell’azione immunitaria, impedendo reazioni eccessive una volta che il danno è stato eliminato. Gli esperimenti che abbiamo condotto hanno dimostrato che se iniettiamo resolvine in un sistema che presenta questo squilibrio, dopo poco tempo l’attività dei linfociti autoreattivi viene soppressa, mentre quella dei linfociti regolatori viene potenziata, spostando così l’equilibrio a favore delle cellule buone”.
Una carenza di resolvine nell’organismo potrebbe quindi confermarsi in futuro un fattore coinvolto nella genesi d’infiammazioni croniche e malattie autoimmuni. “Se così fosse – prosegue il dottor Chiurchiù – le resolvine potrebbero non solo risultare utili per lo sviluppo di nuove terapie, ma anche come marcatori biologici per la prevenzione di questo tipo di patologie”.
I risultati dello studio confermano anche gli effetti benefici di una dieta ricca di Omega 3. Le resolvine sono prodotte infatti dal nostro organismo attraverso il metabolismo degli acidi grassi Omega 3. “Sono molecole importanti – sottolinea il dottor Chiurchiù – che per la loro origine dal metabolismo degli Omega 3 evidenziano ancora una volta l’importanza di un’alimentazione ricca di pesce". Questo fa ben sperare anche per i tempi di sviluppo di una loro possibile applicazione farmaceutica. Essendo infatti molecole presenti nel metabolismo di un organismo sano, non si presenta il pericolo di effetti collaterali nel caso di un loro uso terapeutico.
Lo studio Proresolving lipid mediators resolvin D1, resolvin D2, and maresin 1 are critical in modulating T cell responses è stato pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine (DOI: 10.1126/scitranslmed.aaf7483) a firma degli autori: Valerio Chiurchiù, Alessandro Leuti, Jesmond Dalli, Anders Jacobsson, Luca Battistini, Mauro Maccarrone, Charles N Serhan. Ha ricevuto anche il supporto economico della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM) e dei National Institutes of Health (NIH).
Fonte: Ufficio Stampa Fondazione Santa Lucia