Benefici omogenei sono stati osservati anche in altri endpoint rilevanti, inclusa la morte per tutte le cause, la morte correlata al tumore della prostata e l’incidenza cumulativa degli eventi avversi di particolare interesse. In sei anni, in Italia, la mortalità per carcinoma prostatico è diminuita del 14,6%

In sei anni (2015-2021), in Italia, la mortalità per tumore della prostata è diminuita del 14,6%. Un risultato importante, ottenuto grazie alla prevenzione e ai progressi della ricerca nella neoplasia più frequente negli uomini (circa 36mila nuove diagnosi stimate nel 2020 nel nostro Paese). Nella malattia metastatica l’obiettivo della terapia deve essere non solo garantire un miglioramento della sopravvivenza ma anche una buona qualità di vita. Un risultato che può essere raggiunto grazie alla combinazione di darolutamide, un potente inibitore del recettore degli androgeni, con la terapia di deprivazione androgenica (ADT) e la chemioterapia con docetaxel. È quanto emerge dai nuovi risultati dello studio di Fase III ARASENS per la valutazione della qualità di vita e di alcuni endpoint rilevanti nei pazienti con tumore della prostata ormonosensibile metastatico (mHSPC). Oltre a prolungare la sopravvivenza globale, darolutamide ha un favorevole profilo di tollerabilità e la capacità di mantenere la qualità di vita dei pazienti, con il controllo dei sintomi fisici e del dolore legati alla malattia. I risultati completi sono stati presentati al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), in corso a Parigi.
“In Italia vivono 564mila uomini con diagnosi di questa neoplasia, caratterizzata da un’elevata eterogeneità clinica, oscillando fra forme a bassa aggressività e altre clinicamente importanti – afferma Saverio Cinieri, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Abbiamo molte armi a disposizione per sconfiggere o controllare la malattia che spaziano dalla chirurgia, alla chemioterapia, alla radioterapia, alla brachiterapia, fino alla terapia ormonale. Negli ultimi anni abbiamo ottenuto ottimi risultati in termini di riduzione della mortalità. E, quando la neoplasia ha dimensioni ridotte e scarsa aggressività, i pazienti possono essere sottoposti a sorveglianza attiva che prevede il monitoraggio attraverso esami specifici e controlli periodici. Purtroppo, sintomi come la frequente necessità di urinare, il dolore alla minzione e la presenza di sangue nelle urine vengono spesso sottovalutati dai pazienti, portando alla scoperta della malattia in fase avanzata. L’impatto del tumore della prostata metastatico sulla quotidianità dei pazienti che sviluppano sintomi correlati alla malattia può essere importante. In alcuni casi, queste persone non riescono a dormire o a camminare per il dolore, in particolare alle ossa. Da qui il forte bisogno clinico di terapie in grado di garantire una buona qualità di vita anche negli uomini con malattia metastatica”.
“Fra i casi di carcinoma prostatico avanzato, quelli metastatici alla diagnosi, ed in particolare nei pazienti meno anziani, sono da considerare come più aggressivi e quindi da trattare in modo più completo – spiega Enrico Cortesi, Ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza, Policlinico Umberto I di Roma -. Per questi pazienti è fondamentale individuare un trattamento che sia non solo efficace, ma permetta di svolgere in sicurezza le attività quotidiane. I nuovi risultati dello studio ARASENS confermano ulteriormente la potenzialità di darolutamide, in combinazione con la terapia ormonale e la chemioterapia, per i pazienti con tumore della prostata ormonosensibile metastatico, in una fase critica della loro vita. Questo farmaco combina in sé efficacia terapeutica e tollerabilità. Grazie alla sua struttura chimica peculiare, inibisce la crescita delle cellule di carcinoma prostatico, limitando gli effetti collaterali che impattano sulla vita quotidiana”.
Il trattamento con darolutamide più ADT e docetaxel ha mostrato una tendenza a ritardare il tempo di peggioramento dei sintomi fisici e del dolore correlati alla malattia nei pazienti con dolore moderato o grave al basale e un miglioramento degli endpoint rilevanti per i pazienti, rispetto a ADT più docetaxel, a sostegno dell’incremento del trattamento precoce con l’aggiunta di darolutamide. I risultati dello studio di Fase III ARASENS hanno dimostrato una riduzione del 32,5% del rischio di morte e il miglioramento di tutti gli endpoint secondari particolarmente rilevanti per i pazienti, con l’intensificazione del trattamento precoce rispetto a ADT più docetaxel.
L’obiettivo raggiunto, della migliore preservazione della qualità della vita, è di particolare importanza in una malattia come la neoplasia prostatica, per la quale si deve prevedere una prognosi ed una durata dei trattamenti anche di molti anni.
Il tumore della prostata ormonosensibile metastatico
Il carcinoma prostatico è il secondo tumore più diagnosticato nella popolazione maschile in tutto il mondo. Si stima che, nel 2020, a livello mondiale, 1,4 milioni di uomini abbiano ricevuto una diagnosi di tumore della prostata e circa 375.000 uomini siano deceduti a causa di questa patologia.2
Al momento della diagnosi la maggior parte degli uomini presenta un tumore localizzato, il che significa che la neoplasia è limitata alla ghiandola prostatica e può essere trattata con la chirurgia curativa o la radioterapia. In caso di recidiva, quando la malattia si diffonde o diventa metastatica, il tumore è sensibile agli ormoni e la terapia di deprivazione androgenica (ADT) è il cardine del trattamento. Le attuali opzioni di trattamento per gli uomini con tumore della prostata ormonosensibile metastatico (mHSPC) prevedono terapia ormonale, come l’ADT, inibitori del recettore degli androgeni più ADT o una combinazione di chemioterapia con docetaxel e ADT. Nonostante questi trattamenti, la maggior parte dei pazienti con tumore della prostata ormonosensibile metastatico progredisce sviluppando un tumore resistente alla castrazione (mCRPC), una condizione di malattia caratterizzata da elevata morbilità e sopravvivenza limitata.